
Lo diciamo senza giri di parole: Enrico Letta non ci piace. Di là dalle sue idee, poche e confuse, è una sensazione a pelle. Lo stile da bravo ragazzo studioso, orgoglio di mamma e papà, rimanda a un aplomb diaconale (nulla a che vedere con il nostro compianto direttore) più consono ai chiaroscuri curiali che non alle baruffe tra compagni d’oratorio. Sguardo ambiguo e fintamente misericordioso, a laici impenitenti romanticamente nostalgici di Peppone e Don Camillo il “pretino” Enrico non fa sangue. Come non lo farebbe ai ruspanti, ma virili e schietti, duellanti della saga partorita dalla penna di quel genio assoluto che fu Giovannino Guareschi.
Letta è il prodotto ultimo di un cattolicesimo politico malato, che della Democrazia Cristiana aveva usurpato il nome. I democristiani veri, quelli che hanno ricostruito l’Italia, erano altra cosa. Si poteva non condividerne il pensiero politico ma bisognava averne rispetto, perché erano politici di gran razza e di scorza dura. All’opposto del mellifluo ecumenismo buonista degli eredi del popolarismo cattolico, ammiccante con le ideologie illiberali e pauperiste generate dalla pseudocultura marxista. Il “Catto-comunismo”, la serpe cresciuta in seno alla Chiesa, trova in Enrico Letta una efficace rappresentazione plastica.
Ma va bene così, perché lui non è un problema della destra. Semmai potrebbe esserlo, e anche grosso, per la sinistra. A dirla tutta, chi è contro quel mondo di progressisti arroganti, che pretende di avere tutte le verità in tasca nonostante sia uscito con le ossa rotte dalle sfide che la Storia gli ha presentato, non può che compiacersi dell’approdo di Enrico Letta alla segreteria del Partito Democratico. Per la banalissima ragione che con lui si sta producendo un’operazione-verità sui programmi della sinistra, finora volutamente elusa dai predecessori.
Di una cosa si potrà essere certi: nessuno avrà più l’alibi del “non sapevo” o del “non avevo capito” quando nelle urne dovrà scegliere a chi affidare il futuro del Paese. Letta è al vertice del più grande partito della sinistra da poco più di due mesi – dal 14 marzo 2021 – e si è dato da fare per tracciare con insolita fretta le direttrici di marcia del suo campo. Proviamo a metterle in ordine. Discorso d’insediamento al Nazareno e subito scodellate due ideone: il voto ai sedicenni e lo ius soli. In particolare, è sulla seconda proposta che il segretario dem ha focalizzato l’azione politica. Cambiare le regole per facilitare l’attribuzione della cittadinanza a stranieri immigrati per Letta è una missione che appartiene a un’etica pre-politica: “L’Italia nuova del post pandemia deve emendarsi di tanti difetti del passato… È una battaglia che va legata al presente e futuro dell’Italia. Il Pd la farà e non per motivi elettoralistici ma perché pensiamo che questa bandiera rappresenta il futuro dell'Italia”. Come se difendere il diritto degli italiani ad avere per sé la propria Patria sia una vergogna, una nefandezza dalla quale mondarsi. Come se spalancare le porte agli immigrati irregolari costituisse il viatico per un improbabile rito auto-assolutorio collettivo.
Letta sa bene che, in questa legislatura, non ce la farà a spuntarla. Perciò, pone l’argomento all’ordine del giorno della prossima legislazione. A seguire: la sollevazione di una crociata ideologica in favore di quell’obbrobrio etico e culturale che è il Disegno di legge “Zan” sull’omotransfobia. Per Letta quella roba sarebbe un passo avanti per la civiltà. Quindi, nessun cedimento a tentazioni compromissorie con la controparte del centrodestra su possibili modifiche del testo nella parte più smaccatamente liberticida e contraria al buon senso e alla decenza. Il cattolico Letta che fa strame delle Sacre Scritture per sposare la causa del relativismo culturale nella costruzione del gender e nella fluidificazione dell’identità sessuale dell’individuo: uno spettacolo.
Passano pochi giorni e dal Nazareno ne arriva un’altra: un aumento della tassa di successione per finanziare una “dote” da consegnare ai giovani meno abbienti come contributo dello Stato alla costruzione del loro futuro occupazionale. Un’idiozia, oltre che un sopruso degno dello sceriffo di Nottingham (altro che Enrico Robin Hood). L’idea sinistra dei catto-comunisti non cambia: realizzare il welfare state depredando gli averi dei più ricchi. Come se essere ricco fosse un crimine, un qualcosa di cui vergognarsi. Già il concetto di prendersela sempre e comunque con chi crea reddito è bieca, insistere poi sulla tassa di successione è una carognata bella e buona. Tanto per intenderci: l’apertura di una successione significa che un estinto –pace all’anima sua – ha lasciato agli eredi dei beni e un patrimonio sui quali in vita ha pagato le tasse. Quindi ha già dato il dovuto allo Stato per tutti gli anni in cui lui, l’estinto, è stato titolare di quei beni e di quel patrimonio. Dovrebbe bastare e invece per Letta bisogna bastonare di più e lo Stato pretendere una decima cospicua anche nel momento in cui quell’eredità cambi di mano. E a quale scopo? Per fare investimenti? Per rilanciare l’economia del Paese? Niente di tutto ciò. I denari lucrati tramite l’ingiusto prelievo dovrebbero essere dati in dono ai giovani perché ci facciano qualcosa. Insomma: assistenzialismo, assistenzialismo, assistenzialismo.
Ma la sinistra non ce la fa a dire altro? Ce l’ha nel lessico domestico una parola che non abbia assonanza con pubblica beneficenza? Enrico Letta l’ha mai sentito quel proverbio cinese che recita: “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”? Fortuna che Mario Draghi gliel’abbia bocciata senza troppi riguardi – In questo momento i soldi (agli italiani, ndr) vanno dati non tolti – e il ministro dell’Economia, Daniele Franco, abbia posto sulla vicenda una pietra tombale dichiarando che: “Non è bene intervenire su singole componenti del sistema fiscale in quanto devono inserirsi nel disegno complessivo e concorrere alle finalità generale del sistema fiscale: crescita, equità e contrasto all'evasione”. Ma l’Enrico in campo non s’arrende e promette che anche questa proposta sarà inserita nel programma della prossima legislatura.
Dunque, l’offerta programmatica del Partito Democratico a gestione Letta è (una volta tanto) esplicita. Ricapitolando. Quando si andrà alle urne gli elettori sappiano che votare Pd significherà: dare un’accelerata al processo di sostituzione etnica attraverso la modifica, in senso di allargamento delle maglie, della legge sulla concessione della cittadinanza. Ove mai non riuscissero a farla passare in questa legislatura, la riproposizione della legge Zan che prevede la destrutturazione radicale dell’identità di genere su base biologica. Si potrà scegliere con disinvoltura come e quando cambiare identità sessuale, magari accoppiandola alle mise scelte quotidianamente. Vi sarà un inasprimento del prelievo fiscale tramite le tasse di successione per distribuire denaro a pioggia ai 18enni. E siamo solo all’inizio del suo mandato alla segreteria del partito.
Chissà quali altre idee brillanti gli verranno da qui al giorno del voto per le politiche. Quindi, nessuna giustificazione sarà ammessa, nessun “Matteo Salvini è cattivo” e nessun “Giorgia Meloni vuole risuscitare la buonanima del Duce” sarà accettato a pretesto: chi voterà Pd, vorrà per il futuro degli italiani questa roba. Perciò, come consigliava un vecchio slogan di successo che pubblicizzava il consumo di birra italiana: meditate gente, meditate!
Aggiornato il 31 maggio 2021 alle ore 09:28