Il pensiero unico come causa ed effetto del Ddl Zan

“Sembra che noi si sia dinanzi a un movimento pendolare della Storia, che oscilla dall’assolutismo alla democrazia e dalla democrazia di nuovo alla dittatura assoluta”: così Arthur Koestler osservava nel suo “Buio a mezzogiorno”, romanzo ancora attualissimo specialmente per il passaggio della civiltà occidentale dal quadro utopico che fino ad ora l’ha contraddistinta a quello distopico che sostanzialmente si sta concretizzando sempre più quotidianamente. All’interno di questo scenario si radica il pensiero unico, cioè quel pensiero che non ammette dissenso, che non consente divergenza, che non tollera il contraddittorio, che non sopporta l’eterodossia, che non concede spazio al dubbio, che sospetta degli interrogativi, che, infine e inevitabilmente, punisce i dissidenti.

Il pensiero unico, storicamente, ha paradossalmente assunto differenti contenuti, dalla superiorità della razza secondo il nazionalsocialismo alla redenzione del proletariato attraverso la rivoluzione secondo il socialismo reale, declinandosi sempre in maniera diversa, pur rimanendo identico a se stesso, cioè teso ad eliminare il pensiero diverso. Il pensiero unico, inoltre, ha assunto una modalità operativa sostanzialmente ciclica per cui trova causa ed effetto in se stesso, perché soltanto così può auto-garantirsi la propria legittimità escludendo tutto ciò che pensiero unico non è. L’autoreferenzialità, insomma, è il tratto distintivo del pensiero unico, di ogni pensiero unico che nella storia ha tentato di imporsi, sia con il rombante cigolare dei carri armati, sia con la ammaliante idea dell’uguaglianza a qualunque costo.

In questo senso si può e si deve intendere il pensiero unico da cui deriva e a cui riconduce il Ddl Zan, cioè l’ideologia gender, quella secondo la quale per un verso la sessualità umana è l’unica dimensione necessaria per definire l’umanità – e perfino i suoi diritti, la sua libertà, la sua socialità – e che, per altro verso, rimette proprio all’essere umano la facoltà di poter decidere quale genere avere prescindendo dalla dicotomia della sessuazione naturale e biologica maschile/femminile.

Il Ddl Zan, insomma, deriva da una specifica forma di pensiero unico che si è imposta nell’ultimo decennio ad ogni livello sociale, culturale, accademico, sportivo e che adesso intende sugellare la propria imposizione tramite la forza coercitiva del diritto penale per ricondurre tutti i dissenzienti all’obbedienza cieca, cioè all’interno del proprio alveo ideologico. Con il Ddl Zan, insomma, si formalizza quella circolarità tipica del pensiero unico che fagocita il dissenso.

Chiunque, infatti, non si dovesse piegare ai dettami ideologici e ai nuovi paradigmi etici e giuridici imposti dai minoritari, ma agguerriti gruppi Lgbt diventerebbe passibile di sanzione penale poiché le sue idee, le sue opinioni, le sue parole potrebbero essere intese come omo-lesbo-bi-trans-fobiche e quindi foriere di odio e discriminazione necessitando, dunque, di una dura repressione penale. Il Ddl Zan che si fonda sul pensiero unico dell’ideologia gender si propone, inoltre, come diffusore della stessa ideologia, prevedendo non a caso specifiche giornate di istruzione nelle scuole volte a indottrinare le nuove generazioni per uniformarle al pensiero unico genderista.

Del resto, anche in questo caso, la storia è maestra, come testimoniano l’esperienza sovietica tramite il komsomol, quella nazista tramite la hitler-jugend o quella maoista tramite le guardie rosse, le quali hanno sempre avuto molto a cuore l’esigenza di plasmare la mentalità dei giovani per ricondurli e asservirli alla propria dimensione ideologica. Il Ddl Zan, insomma, è espressione di una mentalità tutt’altro che democratica e liberale, tutt’altro che protesa a tutelare il diritto in genere e quello di coscienza e pensiero in particolare, tutt’altro che realmente orientato alla eliminazione delle discriminazioni in quanto esso stesso fortemente discriminatorio nei confronti di chi non ne condivide l’assunto ideologico di base.

Il Ddl Zan, in conclusione, appartiene più ad una tradizione totalitaria e antigiuridica che a quella di uno Stato democratico costituzionalmente fondato. Ed è per questo, oltre ogni considerazione politica, che non dovrebbe essere approvato, cioè per evitare che con esso, paradossalmente, ad essere discriminate siano proprio le ragioni del diritto e le coscienze libere disposte a difenderle per evitare l’assolutismo del pensiero unico contemporaneo.

Aggiornato il 21 maggio 2021 alle ore 10:22