
Un uomo con la barbetta incinto col ventre gravido e la scritta “la diversità è ricchezza”. L’ultima copertina de l’Espresso è galeotta e rivelatrice come un lapsus. Voleva elogiare il Ddl Zan, ma ha finito con il rivelarne il vero obbiettivo: introdurre nell’ordinamento italiano la fluidità sessuale e l’auto-identificazione (o l’auto-determinazione) di genere. La prevenzione e repressione dell’omotransfobia in quel Ddl è un obbiettivo secondario.
Il vero scopo del Ddl Zan è sancire la possibilità per un maschio di dichiararsi e di iscriversi all’anagrafe come donna (e viceversa per le donne trans) sulla base delle sue percezioni soggettive e di semplici manifestazioni esteriori. Cioè sulla base, in sostanza, di una dichiarazione, anche senza una compiuta transizione sessuale. In pratica il Ddl vuole equiparare alle donne biologiche i trans rimasti fisicamente e biologicamente maschi e viceversa. L’autoidentificazione di genere e la fluidità sessuale, cioè la teoria del gender, diventerebbero un’ideologia di Stato, se il Ddl Zan diventasse legge così com’è. Sarebbero proposte, come verità assoluta, anche nelle scuole elementari e materne. Eppure, sono manifestamente antiscientifiche e sovversive della scienza e del senso comune. Sì, ma hanno il pregio di essere al cuore del politicamente corretto.
Quella copertina dell’Espresso è quindi rivelatrice di una “rivoluzione culturale” nichilista. Il Ddl Zan è un classico “cavallo di Troia” della sovversione culturale in corso. Della distruzione della scienza, del senso comune e della tradizione cristiana e liberale. A fronte di questa finalità ideologica “rivoluzionaria” il resto è quasi solo un pretesto. E come un grimaldello per suscitare consensi appare la presunta finalità dichiarata: introdurre un’aggravante per gli atti violenti, per l’istigazione all’odio, per gli atti discriminatori ai danni di omo-trans. Anche l’incitamento alla discriminazione diverrebbe reato. Cioè, potenzialmente qualunque opinione critica in merito diventerebbe reato, se suscettibile di “determinare il concreto pericolo” della discriminazione. Un ginepraio di vaghezze. Arbitri assoluti ne sarebbero i giudici chiamati a dirimere la lana caprina di una marea di controversie anche temerarie in tribunali diventati dei cortili chiassosi. Nera prospettiva. Per questo in Gran Bretagna, Canada e California leggi simili al Ddl Zan o sono state annullate o stanno per essere corrette.
Eppure, tutto ciò potrebbe essere evitato. La finalità della repressione e prevenzione dell’omotransfobia potrebbe essere molto meglio raggiunta con l’approvazione di una semplice aggiunta alla legge Mancino, o all’articolo 61 del codice penale (casi di motivazioni futili e abbiette) di una semplice aggravante per quei reati. Lo stesso fine potrebbe essere raggiunto anche con una legge (come quella proposta dall’onorevole Licia Ronzulli). L’uovo di Colombo sarebbe introdurre l’aggravante solo per i casi chiari di omotransfobia violenta e aggressiva e non introdurre la ormai famigerata “identità di genere” come prevista dal Ddl Zan. Vi si oppongono le femministe ed una parte della stessa sinistra. Che però non si oppongono anche alle minacce alla libertà di espressione del pensiero e l’articolo 21 della Costituzione che la afferma. Il Ddl minaccia di creare reati di opinione e di fare diventare reato il senso comune, le verità scientifiche e passi dei testi sacri. Il carattere sovversivo e “rivoluzionario” del Ddl Zan, rivelato anche da quella copertina dell’Espresso spiega la ragione per cui il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, ne voglia invece l’approvazione senza modifiche. È una questione di identità: in particolare concerne la metamorfosi della nuova identità della sinistra e nello specifico del Pd. Non più la lotta di classe, ma la lotta delle minoranze presunte svantaggiate per i “nuovi diritti”: l’adozione di bambini e la gestazione per altri (utero in affitto).
Letta vuole farsi accettare dalla parte post-comunista del Pd inserendosi nella sua anima profonda. Il nocciolo duro di quest’ultima è (da Marx fino ai nostri giorni) l’odio per l’Occidente e la conseguente volontà di decostruire e ribaltare la cultura e le istituzioni delle società euro-occidentali. Antonio Gramsci docet: la tradizione cristiana, quella liberale, quella borghese e capitalista e quella nazionale devono essere distrutte e ribaltate da un “nuovo senso comune”. E sempre più nel mirino sta la famiglia naturale. È questa anche la vera motivazione che sta dietro le maschere presuntivamente “anti-razziste”, “anti-discriminatorie”, “anti-sessiste” di quella super-ideologia anti-occidentale che è il politicamente corretto, diventata la nuova ideologia identitaria dell’establishment sia quello di sinistra post-comunista sia, in parte, di quello Vaticano e cattolico.
La loro egemonia sui mass media e nelle istituzioni culturali alimenta una vera rivoluzione culturale illiberale e nichilista. Si tratta di una guerra alla cultura occidentale cristiana e liberale. Nemici interni si allineano e si alleano ai nemici esterni per affrettare la fine della civiltà euro-occidentale. Silenziosamente, col suo passo banale, giorno dopo giorno, l’opera di distruzione culturale procede. La tradizione, la natura e la scienza perdono evidenza e valore e vengono ribaltate. Il valore stesso perde peso, perché tutto vale uguale. Nel linguaggio è in corso una vera trasformazione: si invertono – come nella ne-lingua orwelliana – i significati delle parole e la loro valenza etico-politica. Non è questione solo di etichetta iper-rispettosa delle minoranze diverse. Il falso diventa vero, solo perché politicamente corretto e così anche il male diventa bene. E viceversa. La realtà viene negata e invertita ed è anatema affermarla.
L’irrealtà del nulla è già diventata l’unico credo incontrovertibile. La corsa verso il nulla promette carriere e ricchi premi. Il buon senso comune diventa follia ed è anatema affermarlo. Il mondo intero diventa sogno. Gilbert Chesterton fu preveggente: già si attizzano fuochi per dimostrare che due più due fa quattro; spade sono sguainate per testimoniare che le foglie degli alberi sono verdi e che le pietre della strada sono proprio pietre sulla strada. Alla sfida posta da questa sovversione illiberale e nichilista si stanno sottraendo sia le forze politiche di centrodestra sia i vescovi cattolici che nicchiano e cercano il dialogo “aperto e senza posizioni precostituite” con le lobby Lgbt.
I politici di centrodestra puntano tutto sulla politica, sulle tattiche parlamentari e sulle prossime elezioni. Probabilmente pensano che la vittoria culturale sarà una conseguenza della vittoria politico-elettorale. Così pensano purtroppo anche molti intellettuali liberali e cattolici. Sbagliano perché sottovalutano la portata della guerra culturale della sinistra al cuore della civiltà occidentale. La politica non basta a vincere la guerra per la conquista delle menti e dei cuori. La cultura e le battaglie culturali hanno una loro autonomia ed una loro specificità: devono essere combattute sul piano intellettuale e ideologico. Se rivoluzione liberale deve essere, richiede una battaglia culturale e ideale. Richiede una mobilitazione degli intellettuali e dei semplici cittadini in difesa delle libertà di espressione, delle verità della scienza, della tradizione e del buon senso. La copertina de l’Espresso è un segnale di allarme, che dice anche questo.
Aggiornato il 20 maggio 2021 alle ore 09:20