Ddl Zan: battaglia culturale e politica di prima grandezza

Non sono stati in pochi i liberali sorpresi dal colpo di mano con cui la sinistra il 26 aprile scorso ha “incardinato” al Senato il Ddl Zan. Sembrava che sia la pandemia, sia l’esigenza di non mettere a repentaglio la coesione della maggioranza di governo, consigliassero un suo congelamento. E, invece, esso è destinato a diventare, da maggio in poi, una questione politica e culturale di primaria grandezza che spacca in due, su una linea di faglia culturale, la popolazione italiana oltre che la maggioranza di governo.

Ci si deve chiedere: perché la sinistra italiana ha deciso di correre tali rischi e ha rifiutato di ascoltare le critiche dei liberali, dei cattolici, dei vescovi, delle associazioni familiari e persino quelle delle femministe, e di tante voci anche di sinistra che hanno espresso molte perplessità su questo provvedimento inutile, liberticida, ideologico e pericoloso per la salute mentale dei bambini e dei ragazzini? Sembra evidente che il desiderio sbandierato di difendere gli omosessuali, i transessuali, i bisessuali, le donne e i disabili dalle violenze, offese e discriminazioni sia solo un pretesto, dato che i casi di questo genere in Italia sono sporadici e che nella Costituzione e nelle leggi italiane ci sono già abbastanza garanzie perché quegli ignobili comportamenti siano sanzionati.

La risposta alla domanda sta altrove ed ha il nome di “identità”. La sinistra attuale anche italiana, specie dopo la caduta (con l’Urss) del mito comunista, ha perso l’appeal massimalista e rivoluzionario e si è dovuta attestare, sui temi dell’eguaglianza socio-economica, su una linea riformista. Quest’ultima non solo non riscalda i cuori del popolo di sinistra, ma su quella linea riformista la sinistra trova concorrenti agguerriti (dai liberali ai cattolici alla destra sociale) che contestano la sua vecchia pretesa di detenere, con il massimalismo rivoluzionario, il monopolio della “vera” giustizia sociale. Per questo la sinistra da tempo cerca la sua identità in un massimalismo rivoluzionario ed escatologico di tipo nuovo e per l’esattezza di tipo culturale. E lo trova nelle rivendicazioni culturali della piccola e media borghesia radicale, che è animata almeno dalla fine dell’Ottocento da un odio primigenio e paradossale per la civiltà borghese (infatti è anche un patologico odio di sé) e, in specie, per la cultura cristiana e liberale dell’Occidente. Questi gruppi sociali non sono animati da rivendicazioni socio-economiche, ma dalla volontà di ribaltare la realtà e l’ordine liberale con una guerra culturale-radicale e rivoluzionaria alla tradizione, alle istituzioni, alla cultura, alla scienza ed al senso comune occidentale.

Il Ddl Zan serve a questo scopo, perché colpisce da un lato la famiglia naturale, dall’altro la religione cristiana tradizionale, oltre che la natura liberale dell’ordinamento giuridico. Esso mostra anche il metodo principale dell’offensiva dei “progressisti”: quella di prendere a pretesto alcuni casi sporadici di omotransfobia, di magnificarli per poi usare i principi liberali (come quello dell’avversione ad ogni discriminazione) come cuneo per ottenere effetti illiberali (come l’introduzione di reati di opinione); e per ottenere la propagazione di ideologie (come quella del gender) che diventerebbero ideologie di Stato capaci di decostruire la famiglia e il senso comune diffuso di massa, oltre che di manipolare e disorientare le acerbe menti dei ragazzini delle scuole medie e persino quelle in boccio dei bambini delle elementari.

La sinistra italiana – in sostanza il Partito Democratico, proprio perché coinvolto in un governo di larghe intese – ha voluto differenziarsi con una battaglia culturale e identitaria, divisiva, per serrare i suoi ranghi e rafforzare la sua nuova identità di partito radicale di massa. Non a caso il nuovo segretario del Pd, Enrico Letta, tornato dalla Francia, ha rilanciato due leggi identitarie e culturali: lo ius soli e il Ddl Zan, appunto. Essa conta proprio sull’infiacchimento delle volontà e sulle obiettive difficoltà di mobilitazione, dovute alla pandemia. Essa conta anche sulle divisioni e sulla sottovalutazione delle battaglie culturali esistenti nel fronte dei liberali, dove l’etichetta anti-discriminazionista, di cui si ammanta il Ddl Zan, apre qualche breccia.

Essa conta soprattutto sulla presenza al soglio di Pietro di un Papa come Bergoglio che, con il famoso “chi sono io per giudicare” e con altri gesti, ha certamente ridotto certi umori omofobici e transfobici di molti cattolici ultra-tradizionalisti, ma ha anche abbassato la guardia della dottrina tradizionale sui valori non negoziabili in tema non solo di omosessualità e transessualità, ma anche in tema di sessualità e di difesa della famiglia naturale e tradizionale dalle incursioni della teoria del gender. I cattolici sono uniti nell’avversione al Ddl Zan, ma divisi quanto ai toni e ai mezzi per contrastarlo. La Cei (Conferenza episcopale italiana), con un “comunicato” del 10 giugno del 2020 e una successiva “nota” del 26 aprile scorso, ha definito il Ddl Zan inutile, oltre che intollerante e liberticida in quanto creatore di reati di opinione, ma si è limitata a chiedere un “dialogo aperto e non pregiudiziale” in cui sia ascoltata “la voce dei cattolici italiani”, lasciando intendere di non voler fare le barricate e di auspicare compromessi. “Un dialogo con chi? Come? E dove?” si chiedono molti cattolici.

I liberali tiepidi forse non hanno ancora compreso che se il Ddl Zan fosse approvato anche in Senato e diventasse legge, la libertà di espressione in Italia subirebbe un duro colpo. Diventerebbero reato, come “incitamento alla discriminazione”, tutte le opinioni (anche se argomentate sulla base di scienze naturali, psicologiche, antropologiche o sociologiche) intese ad affermare la realtà e la rilevanza del sesso, finalizzate a privilegiare la famiglia naturale, la differenza sessuale fondata biologicamente, la necessità di ogni bambino di avere un padre ed una madre e il suo diritto di conoscere i suoi genitori naturali. Non solo le opinioni, ma anche le attuali norme che sanzionano in Italia l’orrore della gestazione per altri (l’utero in affitto) rischierebbero di essere cancellate perché discriminatorie.

Molti cattolici tiepidi forse non hanno ancora compreso che con una eventuale futura legge Zan diventerebbero reati le espressioni pubbliche (almeno quelle manifestate fuori dalle chiese) della dottrina cattolica in tema di famiglia, sessualità, omosessualità, transessualità. Diventerebbe reato anche certi passi dei testi sacri. Gli esempi di stigmatizzazione e criminalizzazione di quel genere di opinioni e affermazioni non mancano in paesi che abbiano adottato norme simili a quelle previste dal Ddl Zan.

Liberali e cattolici tiepidi dovrebbero riflettere sul fatto che sulla base di una eventuale “legge Zan” si potrebbero organizzare nelle scuole, comprese quelle elementari e medie, incontri, corsi e incontri. E diffondere pubblicazioni che condizionerebbero, manipolerebbero e (dis)orienterebbero le menti di ragazzini e bambini, ai quali verrebbe imposta con un vero e proprio lavaggio del cervello un’ideologia antiscientifica come quella del gender, che diventerebbe verità di Stato. Ne va della loro salute mentale, oltre che della libertà di espressione e della libertà religiosa, sancita anche dalle norme del Concordato.

Alcune organizzazioni cattoliche, che hanno giudicato troppo morbida la posizione della Cei, preparano già le mobilitazioni. Tra le altre, Family day ha annunciato che “darà battaglia e tornerà a manifestare il suo dissenso nelle piazze italiane” mentre Sos Ragazzi “lotterà per impedire che venga approvato il reato d’opinione e che i nostri figli vengano manipolati dalle teorie gender”. Anche i liberali dovranno fare sentire la loro voce sia pure con i mezzi limitati di cui dispongono.

Aggiornato il 30 aprile 2021 alle ore 10:01