Verity fair: tutte le falsità sul Ddl Zan

“La vanità, insaziato cormorano, consumati i suoi mezzi, si fa preda subito di se stessa”: così William Shakespeare nel suo “Riccardo II” ha brillantemente sintetizzato la feroce autoreferenzialità della vanità, tratto distintivo, peraltro, di quella tambureggiante campagna mediatica denominata “Diamociunamano” – che ogni giorno si premura di arruolare sempre più personaggi dello spettacolo da inviare al fronte della propria causa – organizzata dalla nota rivista “Vanity Fair” a sostegno del Ddl Zan. Alla fiera della vanità, tuttavia, specialmente per problemi giuridici di una certa complessità e importanza che riguardano diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti come la libertà personale, bisognerebbe preferire la “Verity fair”, cioè la fiera della verità, poiché solo la verità rende liberi come ha insegnato – tra i tanti – un laicissimo Luigi Einaudi secondo il quale bisognava prima conoscere, poi discutere, e soltanto dopo deliberare.

In questa direzione occorre sfatare alcune falsità che sorreggono il diffuso sostegno a favore del Ddl Zan. In primo luogo, emerge la questione quantitativa che giustificherebbe l’emergenza con cui approvare una suddetta legge. Si dice che siano migliaia i casi di omofobia che attendono di essere puniti poiché adesso rimangono impuniti; si dice che l’emergenza sia arginabile soltanto con una legge ad hoc; si dice che soltanto penalmente si possa risolvere il problema. Si dovrebbe tener presente che una simile logica fu già adottata in passato per legittimare l’approvazione della legge Cirinnà nel 2016 in tema di unioni civili: all’epoca si disse che erano milioni gli italiani in attesa di una simile legge che avrebbe garantito i diritti fino a quel momento privi di tutela. Anche in quel caso il circolo ideologico-mediatico si mise in moto per una simile campagna. Neanche un anno dopo dall’approvazione della “miracolosa” legge Cirinnà, si scoprì, tuttavia, che i milioni di italiani che avrebbero dovuto e voluto ricorrere a tale legge non esistevano; non ne esistevano neanche alcune centinaia di migliaia; non se ne trovarono nemmeno diecimila; furono, infatti, meno della metà di quest’ultima cifra, cioè appena 2800.

Sui casi di crimini d’odio e intolleranza omofobica, tuttavia, non sarà necessario attendere, poiché i numeri sono già noti e sono ricavabili dai rapporti annuali dell’Osce dai quali si apprende che in Italia i crimini per omofobia – segnalati dalle forze dell’ordine e penalmente repressi con le norme già esistenti – sono stati nel 2014 appena 52, nel 2015 appena 27, nel 2018 sono stati 100, nel 2019 sono stati 107. Si tratta di numeri di gran lunga inferiori a ciò che viene ripetuto e sicuramente tali da non giustificare una tale presunta emergenza che quindi non esiste. Se così non fosse, del resto, sarebbe ben più emergenziale la situazione segnalata dagli stessi rapporti Osce secondo i quali nei medesimi anni suddetti si sono registrati ben 194 crimini di odio per motivi etnico-razziali e 226 ai danni delle comunità religiose in genere e cristiane in particolare nel 2014, 413 e 153 nel 2015, 701 e 210 nel 2018, 805 e 207 nel 2019. I numeri, dunque, dicono ben altro.

In secondo luogo: la seconda falsità da sfatare riguarda coloro che sono contrari al Ddl Zan, che albergherebbero soltanto all’interno degli ambienti più reconditi del più coriaceo oscurantismo cattolico. Anche in questo caso così non è. Gli esempi potrebbero essere molteplici, ma è sufficiente ricordare, oltre i corretti dubbi sollevati dal laicissimo Marco Politi, che tanto Arcilesbica, quanto diverse voci del mondo femminista, si sono più volte espresse contro l’approvazione del Ddl Zan, almeno nella sua attuale formulazione che impedirebbe di esplicitare una critica anche nei confronti della pratica (attualmente penalmente sanzionata) dell’utero in affitto.

In terzo luogo: la terza falsità da smentire riguarda proprio la questione normativa, essendo del tutto falso che adesso l’ordinamento sia sguarnito di norme che possano tutelare le persone omosessuali (e tutte quelle degli altri 10, 100 o 1000 generi ipotizzati o ipotizzabili dall’ideologia gender) da eventuali aggressioni o lesioni della loro integrità psico-fisica. Sarebbe bene ricordare, infatti, che esistono e sono ancora pienamente in vigore le norme specifiche del Codice penale che puniscono l’omicidio, indifferentemente dal sesso o genere di appartenenza, così come le percosse, le lesioni personali, l’ingiuria, la diffamazione e tutti gli altri comportamenti antigiuridici che dovessero danneggiare le suddette categorie nella loro fisicità come nel loro onore. Inoltre, esiste l’articolo 61 del Codice penale che prescrive le comuni aggravanti tra cui i motivi abietti o futili. Infine, esiste la cosiddetta “Legge Mancino” che già dispone pene specifiche per i reati di odio e discriminazione: a questo proposito sarebbe stato sufficiente modificare tale norma, aggiungendo i motivi di discriminazione sessuale, mostrando continenza normativa, sapienza giuridica, e prudenza culturale, invece di introdurre un disegno di legge come il Ddl Zan più fondato sulla cieca furia dei presupposti ideologici che sulla mite ragionevolezza degli argomenti giuridici.

Insomma, in conclusione, si evince con estrema chiarezza che il problema del Ddl Zan si inserisce in un contesto del tutto ideologico e perfino totalitario, come quello descritto da George Orwell nel suo “1984” in cui molti credevano “fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte”.

Aggiornato il 28 aprile 2021 alle ore 11:14