
Dell’universo narrativo dei Cinque Stelle nulla più riesce a sorprenderci. Le intemerate fuori bersaglio del padre fondatore Beppe Grillo, che si scopre garantista per salvare la reputazione di suo figlio Ciro sospettato di essere il coprotagonista di uno stupro di gruppo ai danni di una giovane amica; i tentennamenti di Giuseppe Conte, il Re Travicello della favola pentastellata, il quale, a decidersi di assumere la guida del movimento grillino sembra la tremolante Zerlina di un’intramontabile opera mozartiana: “Vorrei e non vorrei/ mi trema un poco il cor/Felice, è ver, sarei/ma può burlarmi ancor”; un Davide Casaleggio che, sceso temporaneamente dall’Olimpo delle nuove idee per un futuro fantastico, si è dato alla pratica dei pesci in faccia che assesta con longobardica precisione un giorno sì e l’altro pure sui bronzei musi dei capi e capetti pentastellati; l’accesso alla democrazia diretta attraverso la via del digitale, Rousseau, che avrebbe dovuto rivoluzionare le modalità di partecipazione alla vita pubblica degli uomini e delle donne del Terzo millennio, che si è bloccato davanti all’intoppo che da sempre mortifica le speranze degli audaci: i quattrini; le mirabilia del Governo Conte bis al tempo del Coronavirus che non sono risultate così mirabili viste le magagne, anche giudiziarie, che stanno venendo a galla.
E poi, chi i capi e chi i capetti? Vito Crimi? Chi era costui? Si sarebbe chiesto Alessandro Manzoni. E mentre sul Carneade, che il grande scrittore menziona ne I Promessi Sposi, qualcosa l’avremmo potuta biascicare rinverdendo un preistorico ricordo di studi classici perduti nella polvere del tempo, su Vito Crimi proprio non ci sovviene niente di significativo che non sia l’allegoria del vuoto cosmico. Luigi Di Maio che, nato politicamente contestatore, da grande si è fatto doroteo. Come lo era l’Antonio Gava della golden age democristiana. Con l’avvento di Mario Draghi la visibilità mediatica che il Cinque Stelle aveva quando al Governo c’era Giuseppe Conte si è dissolta insieme al ceruleo volto di Rocco Casalino.
Se si parla di loro, dei grillini, è per chiedersi se esistano ancora in natura o se nel frattempo siano trasmutati in altre forme viventi. Della loro politica non se ne sa più nulla se non che sono votati, per ragioni di sopravvivenza, ad aggregarsi al Partito Democratico in un’alleanza di campo a sinistra da collaudare alle prossime Amministrative in autunno. In tante realtà, ma non ovunque. Già, perché a Roma c’è la sindaca, Virginia Raggi. E dove c’è lei non ci sono i “dem”. Eppure, questo caravanserraglio di idee e persone confuse non riesce a stupirci. In fondo, è più facile appassionarsi alle fasi ascendenti della vita delle comunità umane piuttosto che a quelle che ne segnano il declino. Alla velocità con la quale si muovono le dinamiche sociali, la gente fa presto a dimenticare. Non gliene si fa una colpa se è così che va il mondo. Se si è costretti a vivere seguendo le scansioni del tempo reale, è comprensibile che la caduta dalle stelle alle stalle di un Movimento politico scivoli via senza lasciare traccia nella memoria profonda della collettività (non fu così anche per Il Fronte dell’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini, antenato illustre del qualunquismo di cui è stato erede il grillismo?). Tuttavia, l’unico aspetto dell’epopea pentastellata che non smette di sorprenderci è dato dai sondaggi.
Come direbbe il mitico Antonio Di Pietro: e che c’azzeccano i sondaggi? C’entrano, eccome. Nel bailamme grillino da ultimi giorni di Pompei, gli istituti che si occupano di rilevare le intenzioni di voto degli italiani continuano a dargli un consenso razionalmente incomprensibile. La Swg, che li confeziona per il Tg di La7, (stima al 19 aprile) li ha valutati al 18,4 per cento. Un dato ai confini della realtà. Declinata percentualmente, l’estensione del consenso attribuito ai pentastellati potrebbe non essere compresa pienamente dai lettori. I numeri assoluti possono aiutare a capire. Se si votasse domani, ipotizzando che si recherebbe alle urne il medesimo numero di elettori che si sono presentati ai seggi delle politiche nel 2018, verrebbero conteggiati sul territorio nazionale 33.923.321 votanti per la Camera dei deputati. Ora, prendendo per buona la stima fatta da Swg, il 18,4 per cento dei consensi sarebbe pari a circa 6 milioni 240mila individui pronti a rispondere “presente!” all’appello dei grillini. È una cifra enorme perché esista nella realtà.
Per di più se si considera la distribuzione del voto su base geografica che è un elemento nient’affatto secondario. L’area del Nord Italia, comprensiva di sette regioni rilevate dal ministero dell’Interno (Valle d’Aosta esclusa) rappresenta circa la metà (nel 2018 il 47,26 per cento) dell’universo dei votanti. Ne consegue che il Movimento Cinque Stelle, per tenere la media nazionale stimata dal sondaggio, dal solo Settentrione dovrebbe ricevere un consenso che ruota intorno ai 3 milioni di voti. Alle elezioni europee del 2019, le ultime rilevate su base nazionale, nelle circoscrizioni dell’Italia Nord-occidentale e Nord-orientale, comprensive delle sette regioni settentrionali più la Valle d’Aosta, il Movimento Cinque Stelle ha totalizzato 1.468.514 preferenze.
Si obietterà: sono le Europee, la partecipazione cala e le motivazioni nella scelta del partito da votare sono differenti da quelle che si fanno in occasione del rinnovo del Parlamento. D’accordo! Ammettiamo pure tutte le variabili di questo mondo ma un milione e mezzo di voti da recuperare sono un oceano incolmabile. Si aggiunga che nel 2019 i pentastellati godevano ancora di buona reputazione presso il loro elettorato. Non avevano cominciato con la serie di capriole e avvitamenti che, nel giro di due anni, da forza di rottura anti-sistema ha portato il Movimento ad essere la brutta copia del Partito Democratico e ancor più una pessima imitazione, nell’ala governista, della Democrazia Cristiana. Proprio non riusciamo a capacitarci da dove le “teste d’uovo” degli istituti di sondaggi tirino fuori le loro previsioni. Ciò che è peggio è che stiano in televisione in pianta stabile a raccontare agli italiani una realtà che tale non è se non in un mondo virtuale di cui si farebbe volentieri a meno.
Ancor più deleterie sono le conseguenze che la manipolazione della verità determina: il proliferare di un esercito di opinionisti e commentatori politici che si scannano quotidianamente sul sesso degli angeli. Un noto giornale on-line ha scritto, a proposito della rilevazione Swg: “Risale anche il Movimento 5 Stelle”. Ma dove? Ma quando? Se non hanno un leader e neppure una linea politica definita; il Movimento da caserma si è trasformato in un casino, eppure per Swg è il terzo partito italiano a un passo dal Partito Democratico (in calo costante) e a un tiro di schioppo dalla Lega data in caduta libera.
Delle due l’una: o sono strani gli italiani o è strano l’algoritmo che adottano alla Swg per campionare le intenzioni di voto. A lume di naso, propendiamo per la seconda ipotesi, visto che degli italiani, del loro buon senso e della loro pazienza esaurita per i politicanti che dicono una cosa e fanno l’esatto opposto, abbiamo somma considerazione. Come uscirne? Semplicemente decidendo di non prendere sul serio i vaticini dei falsi profeti del Terzo millennio. In Italia si sciopera per qualsiasi ragione, perché allora non scioperare astenendosi dall’ascolto dei sondaggi? Ignorarli è tutta salute.
Aggiornato il 26 aprile 2021 alle ore 09:26