Apologia del Grillo parlante (e giustizialista)

“Si ritiene che la giustizia sia la virtù più eccellente. È virtù completa, soprattutto, perché è attuazione della virtù completa, ed è completa dato che colui che la possiede è capace di servirsi della virtù anche nei riguardi del prossimo, e non solo in relazione a se stesso; molti infatti sono in grado di far uso della virtù in ciò che li riguarda, ma non lo sono nei riguardi degli altri”: così Aristotele nella sua etica a Nicomaco ha insegnato l’essenza della giustizia come virtù, cioè come bene dell’anima, in grado di distinguere il bene dal male, e della ragione, in grado di relazionarsi con l’altro da sé.

Sebbene la temporalmente lontana fiamma del pensiero aristotelico sia stata gravemente affievolita nel corso della storia dalle fumisterie ideologiche dei vari marchesi Donatien Alphonse François De Sade, dei vari Robespierre, dei vari Adolf Hitler e Stalin, dei vari Lavrentij Pavlovič Berija e Andrej Januar'evič Vyšinskij, non si è mai spenta del tutto e seppur fioca, per qualcuno, sicuramente per la minoranza, ha continuato a risplendere come un faro nella notte proprio per la sua chiarezza, proprio per la sua universalità, proprio per la sua sostanziale umanità.

La maggioranza, tuttavia, ha aderito al percorso tracciato dai personaggi predetti invece che dal pensiero aristotelico, perché è ben più facile, soprattutto quando si è raffinatissimi intellettuali indignati o anche rabbiosa folla inferocita con torce e forconi, trucidare tutti insieme il (presunto) colpevole sulla pubblica piazza piuttosto che sedersi, ragionare di diritto, e perder tempo con l’accertamento certosino della responsabilità e della verità (processuale). È più facile provvedere direttamente alla condanna invece di perdersi in lunghe ed inutili chiacchiere su chiacchiere protratte fino all’alba da canuti, noiosi ed annoiati perditempo identificati come giudici e avvocati, mossi i primi soltanto dal proprio capriccio e i secondi soltanto dal tornaconto economico delle proprie tasche.

È più facile radunarsi e giustiziare il presunto colpevole con metodi spicci perché se il popolo, la razza, la lotta di classe, la legalità, l’onestà, o qualunque altra impellente necessità del momento, lo esigono chi potrebbe opporsi anche soltanto per correggere l’accusa, per addurre prove a discarico, per precisare fatti e circostanze, o, addirittura, per calibrare la pena in base alla gravità del fatto? È più facile mettersi in cerchio e lapidare “l’adultera”, piuttosto che riconoscere che nessuno della giuria e nessun giustiziere sia senza peccato e puro abbastanza da poter scagliare la prima pietra. In sostanza, è sempre più facile giustiziare piuttosto che esser giusti!

Ecco l’essenza differenziante tra giustizialismo e giustizia, tra diritto della forza e forza del diritto, tra ragione politica e ragione giuridica, tra ideologia e verità. Questa evidente differenza, tuttavia, non è così evidente per tutti, almeno non lo è mai stata per i grillini che negli anni, al grido di “onestà, onestà”, o “vaffa, vaffa”, hanno marciato più volte contro “la Bastiglia” di Montecitorio minacciando simboliche decapitazioni e pubbliche esecuzioni contro una vecchia, stantia e ammuffita, ma soprattutto corrotta, ingorda e incapace classe politica che si interessa soltanto dei propri privilegi indifferente ai bisogni del cosiddetto Paese reale. Ecco perché, fomentati dal proprio “Grillo parlante”, giunti al potere i grillini hanno abolito la povertà, il numero dei rappresentanti parlamentari, i vitalizi ai politici corrotti, e perfino la prescrizione che (sebbene giusta) evita di giustiziare i colpevoli (anche se ancora non si sa se colpevoli siano realmente).

Per le ironie della storia, tuttavia, può capitare che Robespierre venga ghigliottinato proprio dai suoi stessi solerti ghigliottinatori, perché la rivoluzione fagocita sempre se stessa, e che l’Incorruptible necessiti di quella giustizia che lui stesso ad altri ha negato. Così, se accade che il figlio del “Grillo parlante” venga accusato di stupro non è da giustiziare in piazza, sui social media, nei giornali, e dovunque sia possibile, ma è da assolvere da ogni accusa perché è “solo un ragazzo con il pi…lo di fuori”!

Parole, le suddette, del “Grillo parlante” che, dismesse le vesti del giustiziere, si scopre uomo, si scopre scusante padre di un accusato figlio (forse ingiustamente), si scopre fragile, emotivo, nervoso, preoccupato come tutti quei milioni, silenziosi e silenziati, di padri, di figli, di mariti, di mogli, di fratelli di coloro che ogni giorno vengono accusati e che sperano di essere prosciolti, di dimostrare la propria estraneità alle accuse, di poter produrre prove contro le accuse loro rivolte, di quanti, insomma, sperano nella ragionevolezza della giustizia contro la ferocia dei giustizieri.

E avendo il “Grillo parlante” fomentato per anni le folle contro i propri avversari si ritrova al centro delle inevitabili accuse di questi ultimi, per la sua incoerenza, per la sua parzialità, per la sua reazione scomposta e isterica o, forse peggio, perfino garantista in difesa del figlio. Ed ecco la chiave di volta: sebbene il “Grillo parlante” non sia mai stato, almeno in ambito giuridico, un “Grillo pensante”, non deve essere linciato dai suoi avversari per almeno tre ragioni e necessita, dunque, di una apologia, forse solitaria e isolata, ma necessaria proprio per ragioni di giustizia.

In primo luogo: perché se i suoi avversari si abbandonassero al linciaggio – anche soltanto mediatico – sarebbero altrettanto incoerenti quanto lo è stato lui nei loro riguardi; e fra incoerenti è inutile chiedersi chi abbia ragione, perché nessuno evidentemente ce l’ha. In secondo luogo: perché l’occasione è propizia per un cambio dei paradigmi culturali di questo Paese che nell’ultimo trentennio è stato traviato dalle diverse ondate di giustizialismo come quello diffuso dal “Grillo parlante” dimenticando le ragioni della giustizia che adesso emergono con tutta la loro tipica e brillante eminenza. In terzo luogo: perché proprio la scoperta del “Grillo parlante” come uomo e come padre, dovrebbe lasciar scoprire anche un tratto caratteristico della giustizia – ovviamente ignoto al giustizialismo – cioè la clemenza.

Il “Grillo parlante”, dunque, non deve essere attaccato, in questo caso, ma difeso dalle sue stesse logiche oramai così diffuse da avere attecchito anche tra i suoi stessi nemici, proprio perché, diversamente dall’ignobile vizio del giustizialismo, la virtù della giustizia, come ha insegnato Aristotele, obbliga a far uso della virtù non tanto in ciò che ci riguarda, quanto piuttosto in ciò che riguarda gli altri, come, per esempio, i propri avversari.

Aggiornato il 22 aprile 2021 alle ore 10:56