
Per fortuna non c’erano i mezzi di comunicazione di oggi. Non c’erano tv, internet, social, quel 14 luglio del 1948, quando Antonio Pallante, studente anarchico e anticomunista, sparò tre pallottole di pessima qualità contro Palmiro Togliatti. Non che la notizia avesse tardato a diffondersi, e subito ci furono rivolte in diverse città. Persino la Fiat, che allora non aveva ancora strizzato l’occhio alla sinistra come avrebbe fatto in seguito, fu teatro del sequestro di persona di Vittorio Valletta, amministratore delegato, il cui ufficio fu occupato da un gruppo di operai.
Il ministro dell’Interno, Mario Scelba, vietò ogni manifestazione, ma questo non sarebbe bastato a evitare una guerra civile, creando un’imbarazzante coincidenza di date con la presa della Bastiglia, 159 anni prima. Telefoni e treni bloccati, difficoltà di coordinamento a distanza, quanto bastava per arrivare al giorno dopo quando Gino Bartali, settimo al Tour de France, seppe dalla radio (quella c’era, per fortuna) che cosa stava accadendo in Italia. Gino era molto religioso, e c’è chi giura che chiese a Dio la forza per rimontare, stracciando gli avversari in due tappe alpine durissime, che passavano, fra l’altro, il Col d’Izoard e la Croix de Fer. Freddo, pioggia, buche, un ritardo abissale da colmare. E poi la leggenda della telefonata di Alcide De Gasperi, il quale gli avrebbe chiesto di compiere il miracolo, e lui disse di sì.
Quanto una promessa a un leggendario uomo politico rafforzi la muscolatura è opinabile. Ma è certo che la gente, nelle piazze, iniziò a parlare di Bartali, le cui imprese fermarono l’incipiente rivoluzione. Infine, lo stesso Togliatti, salvato da un intervento del celebre chirurgo Pietro Valdoni, espresse soddisfazione per le imprese del grande ciclista. Così, come racconta Paolo Conte, ai francesi che s’inca…no risposero gli italiani con i giornali che svolazzano, raccontando di Gino: intanto il Migliore migliorava.
Dopo settantatré anni qualcuno pensa che la storia si stia ripetendo. Perché i giornali che antepongono la Superlega al Covid sono stati interpretati dai gomblottisti da tastiera come un disegno per distogliere l’attenzione da chi gestisce emergenze, piani vaccinali e quarantene colorando l’Italia. Peccato che, da allora, qualcosa sia cambiato: la sinistra disputa nei salotti al caviale, non in piazza. E poi il Governo è un’ammucchiata di parenti serpenti, non si saprebbe dove mirare.
Ma soprattutto Ginettaccio era – ed è – un simbolo nazionale amatissimo, mentre la Superlega è la prova di un’Autorità suprema sferica celeste, che a suon di miliardi polverizza i sentimenti dei tifosi, riservando a poche squadre un titolo nobiliare da Marchese del Grillo: io so io e voi...
Aggiornato il 21 aprile 2021 alle ore 12:58