
La settimana politica che sta per concludersi consegna qualche certezza. La prima: Giuseppe Conte è vivo (politicamente) e lotta insieme ai Cinque Stelle. Er Sor Tentenna di Volturara Appula ha sciolto la riserva, pur non avendolo comunicato a nessuno, e si prepara a guidare la lunga marcia dei grillini verso non si sa quale sol dell’avvenire. Il fu “Giuseppi” ha accettato di essere capo dei pentastellati presentandosi all’incontro con il neo-segretario del Partito Democratico, Enrico Letta. Per la formale intronizzazione bisognerà attendere la chiusura del contenzioso economico che il Movimento ha con l’Associazione Rousseau a causa dell’uso a scrocco della piattaforma digitale. Il suo presidente, Davide Casaleggio, disceso dall’iperuranio dei massimi sistemi, ha comunicato agli ex seguaci dell’utopia della democrazia diretta, che gli chiedono l’accesso al voto on-line degli iscritti per ratificare la nomina del nuovo capo politico, una cosa molto terrena che può essere così riassunta: pagare moneta, vedere cammello.
Ma tant’è. Il nuovo corso dei Cinque Stelle per ripartire deve ripianare i debiti accumulati con il nucleo pensante dell’intelligenza collettiva grillina. Posto che Giuseppe Conte riesca a riavviare i motori sfasati del fu movimento-apriscatole (preferibilmente di tonno), dovrà darsi un progetto sul quale erigere una casa accogliente che non somigli troppo a un mausoleo funerario. Per chi? Si suppone per i progressisti che abbiano inclinazioni ambientaliste, ma che siano animati dal sacro fuoco del giustizialismo; per gli europeisti tendenti a sposare le tesi del socialismo rappresentate a Bruxelles dal Partito Socialista europeo; e, sottinteso, per quel manipolo inossidabile di parlamentari grillini ai quali può andare bene tutto, a patto che le loro terga restino incollate alla cadrega. Se sarà questo il profilo del Cinque Stelle 2.0, cioè la brutta copia dell’odierno Partito Democratico, si può essere certi che una pattuglia di revanscisti grillini si recherà in processione a Milano, presso la sede della Casaleggio & Associati, a chiedere al giovane Davide di usare la mazzafionda per colpire il mostro Conte-Golia, generato dal sonno della morale pentastellata.
Il manifesto lanciato giorni orsono dal vertice dell’Associazione Rousseau, “Controvento”, sembra concepito a misura per dare ostello allo scontento cresciuto nel cuore dei Cinque Stelle. Seconda certezza. È ufficiale: l’uomo della provvidenza “dem”, il redivivo Enrico stai sereno di renziana memoria, il purosangue della scuderia di Beniamino Andreatta, al secolo Enrico Letta, è in realtà un brocco. D’altro canto, cosa ne può sapere lui della politica impastata di sangue ed escrementi, gli stessi ingredienti di cui sono fatti i drammi genuini e le vicissitudini delle persone in carne e ossa? Il suo curriculum parla chiaro: la politica l’ha imboccata dall’alto diventando, prima, ministro nel 1998 col Governo D’Alema e poi, nel 2001, parlamentare della Repubblica. Dove mai avrebbe potuto interagire con i problemi dei comuni mortali, toccandoli con mano? Alle cene di gala del Club Bilderberg e della Trilateral Commission? Ancor più delle passeggiate lunari sullo ius soli e sul voto ai sedicenni, lo scollamento dalla realtà è certificato dalla legnata rimediata con la storia del cambio dei capi dei gruppi parlamentari del partito. Portato sugli scudi alla guida dell’organizzazione dopo l’umiliante defezione del segretario nazionale titolare, Nicola Zingaretti, il caro ragazzo ha inaugurato il suo mandato impegnandosi nella rimozione delle scorie radioattive del renzismo presenti all’interno del partito.
Messa nel carniere la nomina (facile) di due vicesegretari di proprio gradimento, i giovani e rampanti Irene Tinagli e Giuseppe Provenzano, Letta ha puntato la prora sulla defenestrazione dei capigruppo alla Camera e al Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, entrambi in odore di intelligenza con il nemico Matteo Renzi. Il pretesto scelto dal vindice del proprio astio: la necessità di dare una mano di rosa al muro del pianto “dem”, mestamente ingrigito al maschile. Argomentazione debole e implausibile, da fargli piovere addosso una gragnuola di critiche. E non solo. Già, perché i “morituri te salutant” Delrio e Marcucci, annusata l’aria, gli hanno mollato un calcio negli stinchi. Graziano Delrio non ha atteso il colpo di grazia e dalla finestra ci si è buttato da solo, lasciando con socratico distacco il posto di capogruppo alla Camera perché altri si azzannassero per averlo. Andrea Marcucci, invece, forte della consistenza al Senato della corrente interna al Pd, “Base riformista”, che riunisce gli orfani dell’ex Rottamatore (Matteo Renzi), ha avvelenato i pozzi: se n’è andato, rilasciando dichiarazioni tali da apparire un gigante del pensiero rispetto a un neo-segretario roso dalla brama di vendetta.
L’uscente si è dato una erede: la senatrice lombarda Simona Malpezzi. Per non rimediare una sonora sconfitta, il brocco ha dovuto ingoiare il rospo. Risultato: uscito di scena un renziano, arriva, eletta dall’assemblea del gruppo all’unanimità, una renzianissima. Magra consolazione per Letta versione Terminator. Potrà però appagarsi col sapere che almeno è donna. Terza certezza. Il neo-segretario “dem” ha incontrato il capo politico, salvo contrordine, dei grillini nuova versione, Giuseppe Conte. Una mossa importante per comprendere il futuro dei due partiti. Ma anche per fare la conta di chi non sarà della partita nel centrosinistra che verrà. L’abbraccio dei Democratici con i grillini, sebbene quest’ultimi rigenerati nella centrifuga del contismo in pochette, espunge dal perimetro della possibile coalizione la sinistra radicale di Nicola Fratoianni, da un lato, e dall’altro, la laguna liberal popolata dalla fauna esotica dei renziani, dei “quattro gatti al circolo del tennis” di Carlo Calenda e delle “foglie morte” alla Jacques Prevert che cadono a mucchi dal ramo pendulo degli amanti divisi di +Europa. Quanto basta per pronosticare che l’auspicato campo largo del centrosinistra si ridurrà a un striminzito orticello presidiato dai soliti noti, disperatamente bisognosi di sopravvivere a se stessi.
Il nuovo cantiere della sinistra (fortuna che almeno uno sia stato aperto in Italia) presto dovrà fare i conti con le candidature alle Amministrative del prossimo autunno. Come negli antichi riti pagani, occorreva il sacrificio di un capro espiatorio per celebrare la palingenesi dei due partiti. E la testa di Virginia Raggi, attuale sindaca grillina di Roma, sarebbe stata perfetta per la circostanza. Peccato che l’interessata non fosse dello stesso avviso. Non solo non ha porto la testa all’altare sacrificale, ma ha cominciato a scalciare, lasciando intendere che prima della decapitazione venderà cara la pelle. I due leader, delusi, potrebbero optare per un’altra vittima da offrire ai riti propiziatori. Soggetto più docile è Roberto Fico. Basterà legarlo mani e piedi e condurlo a immolarsi sull’ara irta di spine della candidatura a sindaco di Napoli. Le due faine (Luigi de Magistris e Vincenzo De Luca), che infestano le lande della sirena Partenope, lo attendono a braccia aperte e a mandibole spalancate ad angolo retto. Per l’occasione, hanno già sistemato le carbonelle nel barbecue.
Aggiornato il 29 marzo 2021 alle ore 09:14