
Alcuni Vescovi italiani (di Sulmona, Catania, Perugia) da qualche mese in qua hanno cominciato a sfornare decreti, attraverso i quali hanno escluso la partecipazione di padrini e di madrine – sia pure a titolo sperimentale, per tre anni – dalla celebrazione dei riti del battesimo e della cresima. La motivazione non risiede nella pandemia o nella necessità di evitare assembramenti, come si potrebbe pensare, ma in altri aspetti che qui cerco di riassumere.
Innanzitutto, si afferma che il canone 872 del codice di Diritto canonico dedicato al battesimo non prescrive, come obbligatoria, la presenza del padrino o della madrina, ma come facoltativa. Si tratta in realtà di un errore di interpretazione o, comunque, di una interpretazione infondata, in quanto il canone 872 letteralmente afferma che la presenza del padrino o della madrina va garantita “per quanto possibile” (quantum fieri potest).
Si vede subito infatti che dire che una certa presenza va garantita “per quanto possibile” non significa per nulla renderla facoltativa, come invece affermano i decreti vescovili, ma invece che essa può mancare soltanto in caso di impossibilità oggettiva dovuta a varie cause: pandemia, urgenza, stati patologici, mai per altri motivi. Insomma, in alcun modo il canone citato conferisce al Vescovo la facoltà di escludere a sua discrezione padrini e madrine da battesimo e cresima: questo è quanto ritengono, fra l’altro, non solo noti canonisti (per esempio Carlo Fabris, docente di Diritto canonico all’Urbaniana), ma anche una risposta fornita ad un quesito dalla Congregazione per il Culto nel 1975. Mentre, dal canto suo, un noto Commentario al codice di Diritto canonico precisa che “il padrino o la madrina non devono mancare, la loro assenza dev’essere per sé un’eccezione”.
In seconda battuta, i Vescovi affermano che la presenza di padrino e madrina viene ormai da tempo vissuta come una consuetudine sociale sostanzialmente priva del significato religioso che, invece, essa dovrebbe conservare e mostrare. Comprendo il tenore di questa critica, che gode di una sua verità, ma non mi sembra che essa sia capace di spostare i termini del problema in modo significativo. Infatti, da questo punto di vista, ogni rito religioso – nessuno escluso – deve in misura maggiore o minore subire il peso di stratificazioni sociali di taglio consuetudinario, che possono anche occultarne il senso profondo. Ma ciò è inevitabile, anche perché storicamente si è sempre verificato per tutti i riti.
Si pensi al matrimonio o al funerale, ove davvero il peso della prassi sociale è evidentissimo e, tuttavia, nessuno penserebbe di abolirli in quanto riti religiosi. Anche perché una cosa è la religione e altra la fede, non dovendosi confondere la prima con la seconda, pur essendo esse strettamente collegate: quella vive nel contesto sociale, questa in quello individuale. E tuttavia la prima senza la seconda diverrebbe una sterile prassi sociale, la seconda senza la prima resterebbe seppellita nel buio della coscienza individuale.
Infine, i Vescovi sostengono che da diversi anni capita che con una certa frequenza soggetti proposti, quali padrini, non siano in possesso dei requisiti personali per svolgere in modo conveniente tale compito, trovandosi in posizione irregolare dal punto di vista religioso (divorziati risposati, coppie di fatto, unioni fra soggetti dello stesso sesso) e che perciò, occorrendo respingerne la richiesta, si vengono a creare situazioni imbarazzanti ed incresciose.
Ma davvero ciò basta a sospendere del tutto e per un triennio la presenza di padrini e madrine da battesimo e cresima? Mi pare una decisione quanto meno impropria, in quanto non credo sia possibile allo scopo di eludere la presenza di pochi, escludere quella di molti: i primi in posizione irregolare, i secondi in posizione regolarissima. Tirando le somme, mi pare che i Vescovi, nel lodevole tentativo di giungere domani ad una riqualificazione in termini di fede del ruolo di padrini e madrine, abbiano dato luogo oggi ad un rimedio peggiore del male, escludendone del tutto la presenza, senza distinguere – come invece si deve evangelicamente fare – la gramigna dal grano. E non hanno tenuto conto, inoltre, che indipendentemente dallo scrupolo – che oggi pare evanescente – che il padrino o la madrina potrebbe usare nell’assecondare e propiziare le pratiche religiose della persona loro affidata, già il semplice fatto che fra loro e questa si sia aperto un canale di comunicazione, si sia costituita una relazione umana potenzialmente ricca di apporti e di empatia, di reciproco riconoscimento, di prolungata e genuina affezione, rappresenti già un passo importante verso il sorgere e il permanere della fede.
Perché il frutto della fede è, prima di tutto, questo: saper costruire sulla roccia ponti fra le persone, compito specifico del Pontefice. Senza l’aiuto di Dio – al quale sarà bene lasciare anche qui lo spazio necessario, senza soverchie preoccupazioni di carattere umano – essi non saranno costruiti se non sulla sabbia: anche fra padrino e battezzando.
Aggiornato il 25 marzo 2021 alle ore 12:22