
Domani e dopodomani si terrà un Consiglio europeo di estrema rilevanza. I leader dell’Ue si collegheranno in videoconferenza per discutere sullo stato dell’arte della diffusione dei vaccini e della situazione epidemiologica. Parleranno anche di Mercato unico, politica industriale, trasformazione digitale ed economia. Possiamo sperare che questa volta l’Italia farà sentire la sua voce?
Per il nostro Paese ci sarà il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Che non è un dettaglio. Non è solo questione di dimestichezza, che il premier italiano ha con i tavoli negoziali internazionali. È la fase congiunturale, segnata dal prolungarsi oltre le previsioni della crisi pandemica, che coglie un inaspettato allineamento astrale con la sostanziale debolezza di tenuta dell’asse di ferro carolingio, forgiato da Francia e Germania ad Aquisgrana nel gennaio 2019. Nelle intenzioni originarie della coppia Angela Merkel-Emmanuel Macron vi era la volontà egemonica di indicare agli europei la direzione verso cui indirizzare il futuro comune. Ma hanno fallito. Come hanno impietosamente dimostrato gli eventi di questi giorni sulla strategia vaccinale, non c’è stata un’Unione europea forte e coesa in grado di dettare le regole del gioco alle multinazionali del farmaco, produttrici dei vaccini.
E mentre le super potenze, dagli Stati Uniti alla Cina, alla Russia, passando dalla Gran Bretagna che adesso balla da sola, si stanno tirando fuori dalle devastanti conseguenze della crisi sanitaria, l’Unione europea stenta a rialzarsi. Occorre uno scatto che non può essere compiuto da ogni Stato membro per proprio conto. Germania compresa. Mai come in questo momento serve che il metodo comunitario funzioni. Ora, la domanda è: i singoli leader dei Paesi dell’Ue hanno sufficiente forza da distogliere lo sguardo dalle problematiche interne ai loro Stati e pensare in grande, adesso che il virus li costringe a reagire compatti? La signora Merkel si prepara a lasciare, dopo 16 anni di leadership incontrastata, la guida del suo Paese. Il presidente Macron deve fare i conti con una campagna elettorale per le presidenziali che si avvicina a grandi passi. In Spagna non è detto che la legislatura giunga alla sua scadenza naturale nel 2023, vista la precarietà delle sue maggioranze politiche e i precedenti poco incoraggianti del recente passato.
Nel gruppo di testa dei Paesi Ue l’unico a non avere problemi di ricerca del consenso è Mario Draghi. Ciò lo pone nell’inusuale condizione per un capo di governo italiano di poter guardare, in sede comunitaria, con maggiore serenità e ampiezza di vedute alle soluzioni per uscire dallo stallo. E allora, che lo faccia! Ha costruito il suo profilo di statista in decenni vissuti ai vertici delle maggiori istituzioni finanziarie internazionali, pubbliche e private, e adesso è giunto il momento di mostrare il suo valore. A fronte della manifesta debolezza di Ursula von der Leyen (mediocre nocchiero al timone della Commissione europea) indichi lui la rotta da seguire. Con il Governo di salvezza nazionale, in politica estera, si è interrotta la dominante strategica del centrosinistra che ha inflitto all’Italia anni di subalternità al blocco di potere franco-germanico. Soprattutto, non c’è più un’Italia fanalino di coda dell’Unione, che deve fare i compiti a casa per essere accettata dai partner. C’è un grande Paese messo in ginocchio dal virus, e prima ancora da regole e policies comunitarie fallaci, che tuttavia ha eccellenti potenzialità per riprendersi economicamente e cominciare a correre come gli altri, se non più degli altri.
La prova di forza ingaggiata da Palazzo Chigi qualche giorno fa con Astrazeneca, bloccando l’esportazione del vaccino prodotto in Italia dall’azienda anglo-svedese in conseguenza delle mancate consegne delle dosi vaccinali promesse al nostro Paese, è stata apprezzata nel consesso comunitario. Poi, però, è intervenuta la decisione di seguire acriticamente la scelta tedesca nel bloccarne temporaneamente la somministrazione per i sospetti effetti collaterali che il vaccino Astrazeneca ha causato in alcuni soggetti. È stato un errore che ha creato danno all’immagine del Draghi leader, impermeabile ai condizionamenti dalle cancellerie straniere. Ci può stare la momentanea perdita di tono muscolare.
Ciò che conta è di ristabilire il peso specifico italiano all’interno delle dinamiche riconducibili al decisore politico comunitario. Domani, in Consiglio, farà capolino la questione del vaccino russo “Sputnik V”. Con l’eccezione della signora Merkel che si è espressa a favore dell’apertura al farmaco di fabbricazione russa, non pochi leader europei, a cominciare dal francese Emmanuel Macron, sono per rifiutarlo. Costoro, per lo più, ne fanno una questione di geopolitica: dire no a Mosca significherebbe opporre un ostacolo al suo espansionismo politico. La cessione su larga scala del vaccino, infatti, contribuirebbe a spezzare l’isolamento a cui la leadership russa è stata condannata dopo la crisi con l’Ucraina e l’annessione della Crimea. Eppure, non sarebbe più importante dedicarsi a sconfiggere il virus piuttosto che a fare calcoli probabilistici sul vantaggio che un Paese produttore potrebbe trarne in un eventuale rimescolamento delle posizioni sullo scacchiere geopolitico? Sul punto Mario Draghi ha fatto valere il suo pragmatismo, portando l’Italia ad essere l’unico Paese ad aver chiesto all’Ue di acquistarlo. Roma, tuttavia, potrebbe muoversi per proprio conto (e in parte lo sta già facendo) decidendo d’ignorare Bruxelles, ma sarebbe un errore. Ciò che occorre per affermare un ruolo primario dell’Italia in Europa non è dire “facciamo da soli”, ma portare l’intero consesso comunitario ad aprire la porta dell’Unione, con un contratto unico, al prodotto farmaceutico russo.
Una scelta in tal senso di sicuro non piacerebbe alla nuova Amministrazione statunitense. Ma una decisione ispirata dall’atlantista Draghi potrebbe spingere i partner europei a porre sui giusti binari il rapporto con l’alleato di Oltreoceano. Già, perché dichiararsi convintamente dalla parte degli Stati Uniti non deve significare subirne acriticamente le scelte. Se l’Amministrazione del presidente Joe Biden ha deciso di puntare allo scontro aperto con il Cremlino, dando dell’assassino a Vladimir Putin, non è detto che i leader europei debbano fare altrettanto. Se l’obiettivo di Washington è rafforzare l’isolamento geopolitico ed economico del gigante euroasiatico, quello europeo deve muovere in direzione della ricerca di un nuovo equilibrio nei rapporti con Mosca.
A maggior ragione se, come prevede l’ordine del giorno del 26 marzo, il Consiglio europeo si occuperà della “bussola per il digitale” (Digital Compass) che “definisca le ambizioni digitali concrete dell’Ue all’orizzonte 2030”. Con il rafforzamento delle catene di valore digitali mediante lo sviluppo intracomunitario della nuova generazione di super-computer, insieme all’implementazione della computazione quantistica, della blockchain e dell’intelligenza artificiale antropocentrica, può l’apparato produttivo europeo ragionevolmente precludersi un mercato promettente come quello russo?
I leader dell’Ue sono consapevoli, e Draghi più degli altri, che gli spazi di mercato lasciati scoperti dal Trade europeo vengono sistematicamente occupati dalla concorrenza cinese. C’è da invertire un destino comune, che deve vedere l’Unione nel suo complesso all’attacco nella ripresa delle produzioni industriali. Con l’uscita di scena della signora Merkel tramonta il tempo della chimera di un’Europa asservita agli interessi nazionali tedeschi. Non sarebbe giunto il momento di un co-protagonismo italiano nella riscrittura della nuova Unione europea, a cominciare dalle regole di funzionamento? E chi meglio di Mario Draghi può interpretare lo Zeitgeist, lo Spirito del tempo?
Aggiornato il 25 marzo 2021 alle ore 09:11