
Che il vaccino Astrazeneca sia letale o meno, con alta o bassa dose di letalità, con conferme o smentite da parte del mondo scientifico, è del tutto giuridicamente irrilevante. Ogni farmaco è indicato per taluni pazienti e controindicato per altri, poiché la situazione clinica e anamnestica di ogni individuo è diversa da quella di ogni altro.
La salute, come interesse collettivo sancito dall’articolo 32 della Costituzione, non può essere contraria al diritto alla salute individualmente inteso e come sancito dalla stessa disposizione costituzionale, così come l’eguale diritto di tutti alla cura non può significare cure uguali per tutti, poiché il principio di uguaglianza, per essere davvero tale, deve rispettare la diversità delle situazioni, rendendosi quanto mai necessario rispettare la diversità del piano terapeutico. Banalità di per sé evidenti di cui, però, oggi si è persa ogni consapevolezza nell’isteria pandemica di massa, che ha coinvolto perfino il mondo della scienza e le istituzioni.
In questa prospettiva, se tutti hanno il dovere morale – poiché per ora manca un espresso obbligo di legge – di vaccinarsi per rispettare il dovere di solidarietà sociale, è anche pur vero che nessuno ha il dovere di avere somministrato un vaccino che per convinzione personale soggettiva, o per evidenza oggettiva, in relazione al proprio quadro clinico non può o non vuole aver somministrato. Impedire, come adesso si impedisce, e come del resto ha categoricamente sancito – pur senza averne l’autorità e la legittimità giuridica – il documento dell’Aifa stilato alcune settimane or sono, di scegliere il vaccino sia da parte del medico somministrante sia da parte del paziente a cui deve essere somministrato, è una palese violazione del diritto alla salute costituzionalmente garantito, e un ritorno prepotente, scientificamente ignobile e giuridicamente criminale di una forma di paternalismo di Stato con cui si mette gravemente a rischio la salute e la vita dei cittadini.
La necessità di far fronte alla situazione emergenziale pandemica non può giustificare il sacrificio del diritto all’autodeterminazione terapeutica che la Costituzione, la giurisprudenza e, in ultimo, perfino la legge 219/2017 hanno formalmente riconosciuto già da tempo. In sostanza: se il medico prescrive al paziente “X” un antibiotico, dovrà prescriverne uno compatibile con lo stato di salute, con le eventuali allergie, con la sua reale ed effettiva condizione clinica; il medico avrà, dunque, il dovere di prescrivere in scienza e coscienza l’antibiotico più adeguato in tal senso. Il paziente, dal canto suo, avrà il diritto di pretendere un antibiotico che sia compatibile con le situazioni predette.
Se questo vale per gli antibiotici, di cui si conoscono gli effetti, a maggior ragione deve valere per vaccini elaborati in poco tempo, per far fronte all’emergenza pandemica di cui s’ignorano gli effetti collaterali, anche se possibilmente riguardanti soltanto una esigua percentuale della popolazione. L’esiguità delle reazioni avverse, tuttavia, o perfino eventualmente letali, non comprime né sopprime, infatti, il diritto alla vita, alla salute e all’autodeterminazione dei soggetti che malauguratamente vi si imbattono.
In questo senso è ora di porre fine a questo nuovo paternalismo e di restituire, da un lato, la responsabilità scientifica al personale medico, cioè l’unico in grado di poter consigliare in scienza e coscienza il proprio paziente. E dall’altro lato, la libertà e l’autodeterminazione terapeutica al cittadino, cioè l’unico in grado di poter conoscere il proprio stato di salute e destinatario di quel diritto al consenso informato, che rischia di essere leso e vilipeso da un grottesco egualitarismo vaccinale.
Aggiornato il 16 marzo 2021 alle ore 09:07