
“L’anima e il cacciavite”. “Sono contento di fare oggi il mio discorso da candidato che essendo il 3/14 è anche la giornata mondiale della matematica”. “Dobbiamo ricominciare dallo Ius soli”. “Saremo il partito della prossimità”. “L’ecologia sarà il nostro faro”. “Patrick Zaki cittadino italiano”. E – naturalmente – “nessuno deve essere lasciato indietro e da solo “.
Del discorso di insediamento – anzi di incoronazione annunciata – di Enrico Letta a segretario di quel che resta del Partito Democratico si ricordano questi punti che definirli salienti è già dura. Aria fritta, frasi fatte, slogan giovanili e wishful thinking. La visione meno concreta possibile della realtà. Nascosta da un velo di ipocrisia che, da quando si sono alleati coi Cinque Stelle, si è “geometricamente coniugata” con un incantesimo di idiozia allo stato puro.
Se questo è il futuro prodotto della sinistra nel supermercato della politica e delle ideologie improvvisate, la frase che viene quasi pavlovianamente in testa è questa: “No grazie, preferisco vivere”.
Sarebbe però ingeneroso liquidare così la buona volontà di Enrico Letta e il suo essere fondamentalmente una brava persona. Cosa che in quel partito comunque non aiuta.
“C’è una luce in fondo al tunnel”, come dicono quelli che finiscono sotto un treno correndo incontro a questa “luce”. Ed è questa: Letta – almeno finché ne ho sentito le argomentazioni – non aveva mai usato la non significante parola di “resilienza”.
È già qualcosa. Da qui si può ricominciare.
Aggiornato il 15 marzo 2021 alle ore 10:04