Il grande rogo virtuale della cultura occidentale

Nonostante la pandemia, il rogo virtuale globale di opere ed autori classici occidentali non si ferma. Continua la tragicomica opera quotidiana di distruzione della cultura occidentale ad opera dei chierici di quella religione triste e anti-occidentale che è il politicamente corretto. Quasi ogni giorno nelle Università, nelle scuole e nei mass-media dell’Occidente, soprattutto nel mondo anglosassone ancora portatore di riflessi puritani, qualcuno degli autori delle grandi opere letterarie, artistiche e filosofiche occidentali viene attaccato con pretesti etici e inviato a un rogo, sia pure solo virtuale. Basta a volte una battuta, un verso o un brano politicamente scorretto di un’opera, perché anche il suo autore venga denigrato, rimosso da piani di studio, detronizzato dalla tradizionale e universale ammirazione e mandato al rogo della damnatio memoriae. I libri e i loro autori non vengono più bruciati fisicamente, ma solo virtualmente. Ma l’effetto di questi “autodafé” virtuali è praticamente lo stesso. Li si vuole “bruciare” e cancellare dalla memoria collettiva dell’umanità. E li si vuole sostituire con la melassa moralista e neo-puritana del politicamente corretto.

A qualcuno il fenomeno ha richiamato alla mente il romanzo distopico “Fahrenheit 451” del 1953 di Ray Bradbury ed il successivo film omonimo di Francois Truffaut del 1966, dove si immagina un futuro in cui leggere e possedere libri è divenuto un reato e i vigili del fuoco li bruciano pubblicamente. Non siamo ancora a questo, ma si sta già formando un nuovo “Indice dei libri proibiti”. Alla lunga ogni prodotto letterario, filosofico ed artistico dell’Occidente può essere cancellato.

Tra gli episodi più recenti troviamo che la “Lawrence High School” del Massachusetts (Usa) ha abolito lo studio dell’Odissea perché “opera razzista e violenta”. L’Università di Leicester in Gran Bretagna ha annunciato di volere rimuovere “I racconti di Canterbury” di Geoffrey Chaucer e il poema epico anglosassone “Beowulf” – due opere fondamentali della letteratura inglese – e di sostituirli con corsi incentrati su “sessualità, diversità, razza ed etnia”. Nello stesso tempo negli Usa la Special Music School del Kaufman Music Center ha deciso di eliminare dal suo repertorio definitivamente due brani per pianoforte di Claude Debussy (“Le Petit nègre” e “L’angolo dei bambini”) perché entrambe le opere avrebbero “sfumature razziste”.

Sono solo gli ultimi episodi di una lunga guerriglia all’intera cultura occidentale, specie quella classica, condotta dal suo interno e dai suoi stessi chierici. Da tempo si sono formati, in varie università americane ed inglesi, comitati misti di professori e studenti che sentenziano che questo o quello dei grandi autori classici occidentali sarebbero stati razzisti, schiavisti, sessisti, reazionari e repressivi. E quindi meritevoli di essere “cancellati”. Alla base di questa continua distruzione c’è l’idea che il razzismo, lo schiavismo, il colonialismo, il sessismo, l’omofobia, l’antisemitismo, l’islamofobia e altre forme di discriminazione e di odio sono la norma in quei testi e “sistemici” nell’intera cultura occidentale. Per questo non vanno insegnati e vanno anzi cancellati dalla memoria collettiva.

Il fenomeno è nato e si è sviluppato sin dagli anni Ottanta del Novecento nelle Università e nei licei americani ed inglesi, ma tende a espandersi in Europa. Agli inizi si sono presi di mira solo alcuni autori e alcune opere, ma poi gradualmente il “processo” si è esteso a tutti gli autori, i filosofi e gli artisti occidentali dai più grandi e famosi a quelli che lo sono meno. È già una ecatombe. L’operazione continua, perché è sempre possibile trovare nelle opere o nella vita di ciascuno di quegli autori qualcuno dei peccati capitali del decalogo anti-razzista ed anti-discriminatorio politicamente corretto.

Con questa logica moralistica negli ultimi decenni sono state attaccate e spesso depennate dai piani di studio opere di Omero, Dante, Shakespeare, Eschilo, Euripide, Sofocle, Ovidio, e tra gli autori più recenti, quelle di Joseph Conrad, Herman Melville, Mark Twain, Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Rudyard Kipling e di molti altri. Tra i filosofi sono stati condannati alla cancellazione persino Platone, Kant, Cartesio, Hegel. In alcune Università i corsi di studio sul Rinascimento italiano sono stati sostituiti con corsi “comparatistici” dove esso diventa solo uno dei fenomeni artistici globali, dei quali si proclama l’eguale valore. Una delle tendenze più recenti è quella di sostenere che l’intera musica classica europea è “intrinsecamente suprematista bianca” e quindi da “condannare all’oblio”.

Il risultato è che oggi, in molte Università americane, è possibile seguire per esempio corsi su “Le emozioni nella letteratura femminile dell’Australia contemporanea” e sia difficile trovare corsi di storia dedicati alla storia e alla civiltà occidentale, aboliti in diversi college, perché ritenuti “eurocentriche e xenofobe”. In alcune Università statunitensi viene considerata politicamente scorretta persino la Costituzione americana in quanto non riconosce i “diritti culturali” e “comunitari” delle minoranze.

Per fare solo alcuni esempi: Omero sarebbe stato con l’Iliade e l’Odissea “un istigatore di odio e violenza”, mentre Dante sarebbe da dimenticare perché ha condannato Giuda come “traditore” e Caifa ed il Sinedrio come “ipocriti” che cospirarono contro Gesù Cristo; inoltre perché ha messo il profeta Maometto all’Inferno, dove viene squartato tra i “seminatori di discordie”; come se non bastasse, lo stesso Dante ha rappresentato i “sodomiti” tra i peccatori “contro natura” condannati a correre sotto una pioggia di fuoco, senza poter mai fermarsi. Ce ne è abbastanza per fare di Dante un antisemita, un islamofobo ed un omofobo: concetti e accuse che al tempo di Dante erano evidentemente impensabili e che lascerebbero un Dante redivivo alquanto perplesso. Ciò non ha impedito all’organizzazione Gherush92, consulente speciale delle Nazioni Unite, di condividerli in pieno. Shakespeare poi sarebbe da bandire per la sua inquietante indulgenza verso personaggi malvagi come Macbeth e Riccardo III e perché nel Mercante di Venezia sarebbe stato connivente con l’antisemitismo e nell’Othello non sarebbe stato immune da sessismo.

In diverse Università anglosassoni si sta affermando la tendenza a definire molti autori occidentali colonialisti, razzisti, sessisti, omofobi e repressivi solo perché appartenenti alla “razza bianca”. A Stanton negli Usa ed a Cambridge in Gran Bretagna, alcuni docenti di letteratura hanno preteso di sostituire gli autori bianchi con quelli di colore con l’edificante proposito di decolonizzare i piani di studio”.

In diverse Università statunitensi, Herman Melville ed il suo capitano Achab sono stati messi all’indice perché “portatori di un atteggiamento sconveniente nei confronti delle balene”. Sono finiti sotto processo per sessismo persino i libretti di opere di Mozart, del grande Lorenzo Da Ponte come Così fan tutte e Don Giovanni. Joseph Conrad ed il suo capolavoro Cuore di tenebra sono stati condannati in quanto “sprezzanti nei confronti degli africani”. Alla Columbia University di New York è stato aperto un processo contro Ovidio e le sue “Metamorfosi” per il “contenuto troppo violento” e per scene erotiche tali da “provocare traumi nei giovani lettori”.

Il grande romanzo “Le avventure di Huckleberry Finn” di Mark Twain, nonostante sia tutt’altro che razzista e schiavista e anzi racconti la fuga e la grande amicizia tra un ragazzino bianco ed uno schiavo afro-americano, viene ostracizzato per l’uso frequente della parola nigger (negro). A Manchester ed in altre Università britanniche, la famosa poesia “If” di Rudyard Kipling (condannato dappertutto per il suo colonialismo) è stata cancellata perché giudicata “sessista” solo perché il poeta indica a suo figlio le virtù per potersi considerare “un uomo”. Lo stesso meccanismo inquisitorio ha portato a Londra a vietare di esporre i nudi di Egon Schiele, non per “oscenità” (non siamo più in epoca vittoriana!), ma per “degradazione sessista dell’immagine femminile”. Alcuni musicologi americani hanno sostenuto di recente che l’intera musica classica europea sarebbe intrinsecamente “oppressiva, colonialista, suprematista e razzista”.

I giudizi e le manifestazioni del movimento iconoclasta nelle Università anglo-sassoni sono evidentemente infantili e ridicoli, soprattutto perché non tengono in alcun conto la mentalità e i costumi delle epoche in cui furono scritte quelle opere. E tuttavia sono prese sul serio persino da attempati professori di reputati College americani ed inglesi che assecondano quell’incredibile “processo” ai classici occidentali. Lo stesso atteggiamento hanno tenuto vari presidi di facoltà, rettori e presidenti delle più reputate Università, che, spesso per quieto vivere e per timore di incorrere nelle ire del movimento, hanno sospeso o licenziato i docenti che si opponevano all’isteria collettiva.

L’aspetto più inquietante dell’intera vicenda è che quei professori sembrano in apparenza dimentichi della stessa cultura con cui sono cresciuti e che li ha gratificati del loro status e del loro stesso titolo. Non hanno essi stessi insegnato che l’anacronismo e il moralismo sono due gravi errori metodologici? Basti pensare che l’anacronismo è un atteggiamento tanto assurdo che ci porterebbe, per esempio, a criticare Napoleone perché a Waterloo non usò il telefonino portatile per chiamare in soccorso il suo generale Emmanuel de Grouchy! Hanno dimenticato poi che il moralismo è un errore assolutamente da evitare in ogni giudizio critico sia esso letterario, artistico o filosofico, storico e politico? Non avevano essi stessi insegnato che l’umanità a partire dall’Illuminismo è uscita di minorità ed è entrata nell’età della ragione, liberando tutte le attività intellettuali dagli impacci etico-religiosi e politici? Non avevano essi stessi definito quegli impacci come una manifestazione di oscurantismo? E ora sono proprio loro a riproporli?

I processi anacronistici e moralistici agli autori ed opere del passato richiamano, infatti, alla mente le censure ecclesiastiche, i roghi delle “vanità”, tra cui i libri, nella Firenze di Savonarola a fine Quattrocento, gli autodafé dell’Inquisizione, le censure dei totalitarismi del Novecento, i roghi dei testi ebraici (e assimilati) ad opera dei nazisti; le distruzioni della “vecchia cultura confuciana” ad opera delle guardie rosse della rivoluzione culturale cinese; le paranoie anti-intellettuali nella Cambogia di Pol Pot; per finire alle distruzioni dei grandi Buddha scavati nella montagna di Bamyan nel 2001 ad opera dei talebani afghani. Anche quei fenomeni avevano una qualche “motivazione etica”. Ci risiamo?

Il fenomeno si è manifestato anche in Europa ed in Italia, sia pure in misura minore e sporadica. Nel gennaio del 2016 alcune statue nude greco-romane del Campidoglio furono pudicamente ricoperte con cartoni “per non offendere” l’ayatollah iraniano Hassan Rohani in visita ufficiale a Roma. Nel 2018 a Firenze, nell’ambito del maggio fiorentino, il regista Leo Muscato, in sintonia con i tempi, pensò bene di cambiare il finale della Carmen di Georges Bizet. Nella sua nuova versione Carmen non viene più uccisa da Don José, ma lo uccide. E questo per “condannare la violenza sulle donne” e “per non fornire occasioni al femminicidio”.

Come spiegare queste ridicole assurdità? Come spiegare dunque le incredibili amnesie e contraddizioni dei professori divenuti chierici del politicamente corretto? la loro regressione infantile e premoderna e il loro tradimento dei propri principi deontologici? Il loro alibi è pseudo-liberale. Si autodefiniscono liberali, anzi ultra-liberali e affermano di essere giustificati dalla loro battaglia anti-razzista e anti-discriminatoria. Ma l’alibi non regge. Lo testimonia la loro intolleranza. Chi si oppone ai loro verdetti, anche se con le armi della ragione critica e del buon senso, viene da essi accusato di uno dei peccati mortali del decalogo politicamente corretto e sottoposto ad una gogna, che spesso sfocia nelle dimissioni o nel licenziamento di professori liberali o conservatori dalle Università. Le vittime ormai non si contano. E sono tante da autorizzare il sospetto che sia proprio questo un obbiettivo politico dei chierici anti-occidentali: attaccare Omero, Dante e Shakespeare anche per fare fuori gli avversari, i liberal-conservatori difensori della cultura liberale occidentale. Inoltre, il loro presunto anti-razzismo fondamentalista degenera spesso in un razzismo etico politico nei confronti dei dissidenti e dei liberal-conservatori, e persino in un razzismo etnico anti-bianco. Altro che liberali!

A spiegare la loro guerra permanente all’intera cultura occidentale e le loro contraddizioni c’è una sola risposta: essi sono animati da una passione irrazionale che è l’odio politico e culturale per l’Occidente, che essi vogliono distruggere. E per i difensori della civiltà liberale occidentale, che essi vogliono eliminare dalla scena pubblica: spesso ci riescono. Quell’odio paradossale e patologico per la propria civiltà liberale è una vecchia passione che essi hanno ereditato dai “rivoluzionari” del Novecento, sia quelli comunisti, sia quelli nazisti e fascisti. Tutti quei rivoluzionari tra le altre cose avevano in comune l’obbiettivo primario: la distruzione della civiltà liberale occidentale.

L’opera di distruzione culturale anti-occidentale dei loro discendenti odierni può sembrare, al confronto con i rivoluzionarismi del Novecento, un fenomeno minore, marginale e folkloristico, anche perché ridicolo. Tuttavia, le loro manifestazioni stanno diventando “virali” perché trovano alimento in quello che Benedetto XVI chiamò “un patologico odio di sé dell’Occidente”. E questo non è ridicolo, ma tragico.

(*) Lucio Leante-L’Occidentale

Aggiornato il 15 marzo 2021 alle ore 09:16