
“La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa” diceva Karl Marx. Non c’è che dire: grazie alle sardine del riccioluto Mattia Santori e, soprattutto, a chi ha salutato questa buffonata con democratico entusiasmo, il Partito Democratico fa “qualcosa di sinistra”.
Battutacce a parte, questa carnevalata mi fa venire in mente due considerazioni. La prima prende le mosse da un lontano episodio. È il 1947, Gian Carlo Pajetta al telefono chiama eccitato Palmiro Togliatti: “Abbiamo preso la prefettura di Milano!”. Il segretario lo gela: “Bravo! E adesso dimmi: che cosa te ne fai?”. Si dice che per molto tempo, da quel giorno, Pajetta dovette rassegnarsi ai lazzi ironici di Togliatti: “Pajetta, come va la rivoluzione?”.
Cosa accomuna i due episodi? Poco, attesa la differente “statura” dei protagonisti, ma mi pare che il raffronto descriva magnificamente il declino di un Paese. La seconda. Nello stesso giorno in cui va in scena questo triste avanspettacolo, Beppe Grillo si candida provocatoriamente alla segreteria del partito e nessuno trova argomenti per rispondergli a tono. Esponenti di punta del Pd ciurlano nel manico dell’incarico di consulenza conferito ai cattivoni di McKinsey dietro compenso di 25mila euro.
Ovviamente sono i soliti per i quali gli incarichi a politici trombati in qualità di “consulente etico” ed a cifre maggiori, durante il Governo Conte II, erano il sale della democrazia. Niente drammi per carità, siamo abituati a ben altri sperperi del denaro dei contribuenti, ma mi pare l’ennesima dimostrazione che la capitolazione al populismo grillino del più grande partito della sinistra sia ormai incondizionata e, a quel che si legge, pure un gradito epilogo per il suo (residuo) elettorato.
Aggiornato il 09 marzo 2021 alle ore 09:05