Per fermare gli sbarchi non basta la bacchetta magica

I governi di salvezza nazionale presentano alcune controindicazioni a cui prestare massima attenzione. Quella che ha maggiori riflessi sull’azione di governo attiene all’impossibilità di affrontare materie ritenute divisive per le forze di maggioranza. Il che non è un bene, soprattutto se l’Esecutivo che gode di ampio consenso parlamentare si dà un orizzonte operativo, che vada oltre la stretta contingenza imposta dalla fase emergenziale. Non è esercizio di stile interrogarsi su quale sia la reale aspettativa di durata del Governo Draghi. Per farla breve, se Mario Draghi intende rimanere a Palazzo Chigi giusto il tempo di realizzare i due o tre punti di programma fondamentali per tirare fuori il Paese dai guai economici e sanitari causati dalla pandemia e poi ritornare agli ozi umbri, è un conto. Se invece la prospettiva investe l’intero arco della legislatura, e anche oltre, allora occorre che cambi registro e prenda di petto i dossier la cui soluzione non potrà essere elusa a lungo.

Il più scottante di questi dossier riguarda la gestione dell’immigrazione illegale. Il fatto che il problema degli arrivi di clandestini sul nostro territorio sia scomparso dalle prime pagine dei giornali non vuol dire che il fenomeno si sia allentato o sia diventato talmente marginale da non costituire una priorità per la sicurezza nazionale. Lo dicono i numeri. È stato pubblicato il XXVI Rapporto della Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) sulle migrazioni 2020. Il report stima che al 1 gennaio 2020 fossero presenti in Italia 5.923.000 stranieri. Cioè, il 9,93 per cento della popolazione residente (59.641.488). I regolari sono 5milioni ai quali si aggiungono 366mila stranieri non iscritti all’anagrafe. Gli irregolari censiti sono all’incirca 517mila, in calo dell’8 per cento rispetto alla stessa data del 2019. Segno che la stretta sugli ingressi illegali attuata da Matteo Salvini, ministro dell’Interno nel Governo Conte I, è servita (23mila sbarchi nel 2018 e 11mila nel 2019). Il 2020 è stato l’annus horribilis della pandemia, dove tutto si è fermato e dove la vita stessa degli individui è entrata in una bolla di sospensione del tempo. Non però gli sbarchi dei clandestini che, al contrario, sono aumentati (34mila). E il trend per il 2021 pronostica una drammatica impennata, anche grazie alla sciagurata decisione del Governo Conte bis di cancellare i decreti Sicurezza varati dal Conte I.

Tale andamento, al netto delle questioni ideologiche e culturali, che pure incidono sull’approccio politico all’accoglienza degli immigrati, rappresenta un concreto problema per il Paese. Sgombriamo il campo dagli effetti tossici della demagogia dei “buoni sentimenti” dei multiculturalisti: gli immigrati che arrivano in Italia non fuggono dalle guerre o dalle carestie. Secondo il Report Ismu: “Il 22,7 per cento dei residenti stranieri proviene dalla Romania (un milione e 146mila residenti, il 22,7 per cento del totale degli stranieri residenti in Italia). Seguono circa 422mila albanesi (8,4 per cento) e 414mila marocchini (8,2 per cento). Al quarto posto si collocano i cinesi con quasi 289mila unità (5,7 per cento del totale stranieri in Italia), poi gli ucraini con quasi 229mila unità, i filippini (quasi 158mila), gli indiani (poco più di 153mila), i bangladeshi (quasi 139mila), gli egiziani (circa 128mila) e i pakistani (meno di 122mila). Le prime tre nazionalità rappresentano da sole quasi il 39,3 per cento del fenomeno migratorio complessivo, mentre in totale le prime dieci raggiungono il 63,5 per cento”.

Si tratta di migranti economici che approdano in un contesto sociale e produttivo paralizzato dal dilagare della pandemia. La domanda è: ce lo possiamo permettere un crescente flusso migratorio in entrata nelle cattive condizioni economiche in cui siamo? Nel 2019 gli occupati stranieri avevano superato la quota di 2milioni e mezzo su una popolazione in età da lavoro di oltre 4milioni di persone. Eppure, già nel 2019 il tasso di occupazione degli stranieri (61 per cento) aveva subito una flessione a causa dell’andamento negativo di quello femminile (fonte: Rapporto Ismu). Più preoccupante il dato 2019 sulla disoccupazione (13,8 per cento contro il 9,5 per cento degli italiani, con punte più alte tra la componente femminile (16,3 per cento) e i giovani extracomunitari con il 24 per cento (fonte: Rapporto Ismu). Quando saranno disponibili i numeri definitivi al 31 dicembre 2020 potremo verificare di quanto sia peggiorata la situazione lavorativa degli stranieri. E nulla lascia prevedere che nel 2021 andrà meglio.

C’è tuttavia la speranza per una ripresa che dovrà arrivare. Ma quando ciò accadrà ci sarà da risollevare i ceti meno abbienti della società dalla povertà in cui sono precipitati. Impresa di suo complicata a causa del gigantesco debito pubblico accumulato ben prima dello scoppio della pandemia. Se non vi sarà sufficiente margine per finanziare il welfare, come si può pensare di gravare la spesa corrente prendendo in carico l’altrui disperazione? Un padre di famiglia che fa debiti per sfamare i propri figli lo si può comprendere, ma se lo stesso individuo, debitore cronico, si mettesse a fare beneficienza con i soldi presi a prestito, un giudice lo dichiarerebbe interdetto e lo porrebbe sotto tutela. Fatta la tara sui diversi ordini di grandezza non è che per gli Stati nazionali funzioni in modo molto dissimile. La Caritas nell’ottobre dello scorso anno rilevava quanto segue: “Analizzando il periodo maggio-settembre del 2019 e confrontandolo con lo stesso periodo del 2020 emerge che da un anno all’altro l’incidenza dei “nuovi poveri” passa dal 31 per cento al 45 per cento”, con un significativo incremento delle categorie sociali comprendenti le famiglie con figli minori, le donne e i giovani. La crisi ha colpito duro la nostra gente se è vero, come attesta il rapporto Caritas, che i nuclei di italiani siano la maggioranza (52 per cento rispetto al 47,9 per cento dello scorso anno). Con tutta la comprensione di questo mondo per le disgrazie altrui, adesso tocca pensare a restituire benessere e sicurezza agli italiani. E il Governo per primo deve dimostrare di avere piena consapevolezza della missione che l’attende.

Continuare, invece, nel lassismo di una perniciosa politica delle porte aperte potrebbe avere gravi ripercussioni sulla tenuta dell’ordine pubblico, oltre che delle finanze pubbliche. Non sono solo gli italiani onesti e perbene ad attendere la ripresa. Ci sono anche le organizzazioni criminali che si sono portate avanti con il lavoro durante la fase acuta della crisi e adesso necessitano di manovalanza per incrementare i traffici illegali per quando l’Italia tornerà alla normalità. Il Governo dovrebbe porsi il problema di non farsi involontario complice della malavita fornendole un serbatoio di forza-lavoro sottocosto. Per il bene del nostro Paese non riteniamo vi possa essere soluzione alternativa al ristabilimento di una rigorosa e convinta strategia di contrasto all’immigrazione clandestina. D’altro canto, sarebbe da illusi voler puntare sulla chimerica redistribuzione degli immigrati in altri Paesi dell’Unione europea. Il fatto che la ministra “aperturista” dell’Interno, Luciana Lamorgese, sia stata confermata nell’incarico è stato un pessimo segnale. Ciononostante, le politiche migratorie le decide il Governo con il supporto del Parlamento, come è emerso dalle carte del (surreale) processo all’ex ministro Matteo Salvini per l’accusa di sequestro di persona in danno di immigrati recuperati in mare nel luglio 2019 da un pattugliatore della Guardia di Finanza e da una motovedetta della Capitaneria di porto e trasbordati su un’unità di soccorso della Guardia costiera. I governi durano o decadono in base a ciò che fanno o non fanno, o fanno male. L’immigrazione è un banco di prova che Mario Draghi non potrà disertare. L’auspicio è che la destra presente nella compagine governativa glielo rammenti. Prima che sia troppo tardi.

Aggiornato il 26 febbraio 2021 alle ore 11:14