
Nel suo discorso programmatico (qui integrale), il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha tracciato le linee fondamentali per la ripartenza e lo sviluppo del Paese. Ha individuato, sì, traguardi da raggiungere immediatamente, ad iniziare dal rifacimento del piano vaccinale, ma anche traguardi di lunga, lunghissima prospettiva. È come se avesse disegnato l’architettura di grandi ponti, dei quali intende gettare le fondamenta per poi lasciarne la realizzazione ad altri, perfino alle future generazioni, quelle che un giorno, com’ha detto, siederanno nelle aule vellutate del Parlamento.
Ha dimostrato, in questo modo, non solo di sapere guardare al futuro, ma anche di saperlo osservare col binocolo del tempo, cosciente che quello a sua disposizione sarà limitato.
Il futuro lo ha individuato anzitutto nell’Europa, seppure ancora da completare e nell’alleanza atlantica, conformemente alle nostre più radicate e solide tradizioni. E poi nella concorrenza di mercato e nel Recovery plan, da correggere rispetto a quello licenziato dal Governo precedente, e da utilizzare fino all’ultimo centesimo.
Su questo terreno – politico, economico e finanziario – ha steso la tela per disegnare gli obiettivi strategici del suo Governo: le politiche energetiche e ambientali, guardando al 2050; le politiche attive del lavoro, con investimenti sulla riconversione; il rinnovamento della ricerca e del sistema dell’istruzione, privilegiando il sapere tecnico e le tecnologie; le politiche infrastrutturali, con investimenti tanto sulle opere materiali, quanto su quelle immateriali; le politiche fiscali, con una riscrittura organica dell’intero ordinamento, sulla falsariga di quel che accadde negli anni ‘60.
Il Presidente, vien da dire l’architetto Draghi, però, non si è immaginato sempiterno, anzi ha fatto chiaramente comprendere come non sarà il tempo a condizionare la sua azione, perché la qualità della progettazione non dipende da esso. La qualità, ha detto, è indipendente dal calendario: in poco tempo si possono fare cose imponenti, come in molto tempo cose mediocri, specie quando lo si consuma per conservare il potere.
Lezione grande, questa, che dimostra non solo la statura culturale dell’uomo, ma anche la chiarezza della sua visione politica. Sa bene che i Governi di salvezza o unità nazionale o repubblicani, come ha preferito battezzare il suo, hanno vita breve. Come accadde per il governo Ricasoli (1866-1867), per quello Boselli (1916-1917), per i primi tre governi De Gasperi (1945-1947), la chiamata all’unità delle forze politiche produce bensì un gran frastuono, ma con un’eco di ritorno limitata e instabile. Di questo Draghi è consapevole, come sa che il suo cammino non sarà cosparso solo di rose e fiori. Al tempo stesso, però, è consapevole che alcune pietre angolari devono essere collocate subito, cementate in pochi mesi, se l’Italia vorrà tentare un nuovo rinascimento.
Se è vero che “politica vuol dire realizzare”, come affermò Alcide De Gasperi in un discorso tenuto a Milano nel 1949, e se è vero, come scrisse James Freeman Clarke in un saggio del 1876, che “un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alla prossima generazione; un politico pensa al successo del suo partito, lo statista a quello del suo Paese”, il discorso programmatico di Mario Draghi non può che destare speranza e compiacimento. E allora, buon lavoro Presidente!
(*) agiovannini.it
Aggiornato il 19 febbraio 2021 alle ore 09:15