Governo Draghi: un’occasione liberale?

Chi sia Mario Draghi lo sappiamo. Il perché compaia in questo momento sulla scena politica è sufficientemente chiaro: per rimettere il Paese in piedi dopo che un Governo caotico lo ha precipitato nel baratro di una crisi sfuggita di mano. Con quale programma di Governo lo scopriremo oggi, ascoltandolo in Parlamento. Ma produrrà anche l’agognata svolta liberale, come ipotizza Alessandro Barbano in un articolo pubblicato sull’Huffington Post dal titolo evocativo “L’occasione liberale”? Il silenzio è la cifra stilistica del nuovo premier. Non che una modalità comunicativa modicamente criptica dispiaccia. Tuttavia, c’è un rovescio della medaglia da considerare e riguarda opinionisti e commentatori: l’indulgere a iperboli narrative in assenza di riscontri fattuali. Sospettiamo che sia il caso della riflessione di Barbano. Domandiamoci se esista un Draghi oltre Draghi che si candidi, una volta superata l’onda di piena dell’emergenza sanitaria ed economica, a una missione a più lunga gittata. Nel recente passato la classe politica ha dato cattiva prova di sé. Per tale motivo ci siamo spinti a definire l’approdo dell’ex Governatore della Banca centrale europea a Palazzo Chigi il commissariamento della politica italiana. Non è dello stesso avviso Alessandro Barbano per il quale “Draghi non sarà il commissario della politica, ma un supporto pedagogico e costituente, che si propone di aiutarla a risorgere dai suoi veleni”. Un pedagogo con compiti riabilitativi? E da cosa la politica italiana dovrebbe mondarsi? Da un quarto di secolo di bipolarismo dell’alternanza? La divisione del campo su basi ideologiche, con nette linee di demarcazione tra la destra e la sinistra, sarebbe la matrice causale di una conflittualità permanente. La ricerca del nemico nella categoria del politico avrebbe prodotto all’interno dei due universi chiusi vittime e carnefici. L’estremismo avrebbe progressivamente conquistato l’egemonia provocando l’annichilimento delle anime moderate presenti da entrambe le parti dello steccato. La radicalizzazione dello scontro tra destra e sinistra avrebbe dato luogo, nel tempo, all’insorgere dei fenomeni populisti e anti-europeisti che il taumaturgo Mario Draghi è chiamato, mediante operazione chirurgica, a estirpare dalla carne viva della politica.

L’intervento di rimozione sarebbe in atto. La scelta di comporre la squadra di Governo con profili moderati, prelevati con precisione certosina da entrambi gli schieramenti, recherebbe traccia di una restaurazione dell’antico ordine, benedetto dalle massime istituzioni repubblicane. Per Barbano, esisterebbe un’escatologia della missione di Draghi che riguarda i destini ultimi della politica e che si pone un preciso obiettivo: la ricostituzione di un Centroda intendersi non come un’area mediana e terza rispetto alle storiche contrapposizioni tra destra e sinistra, ma come il luogo dove s’incontrano – per una congiuntura della storia e per proiezione sul piano politico di ciò che il governo metterà in campo – il cambiamento, il compromesso e la responsabilità dei partiti e dei movimenti verso il Paese”. Se le forze moderate presenti in entrambi gli schieramenti sapranno risolvere le contraddizioni insorte con la separazione imposta dal bipolarismo e guarire dalla sindrome di Stoccolma dell’innaturale apparentamento con le forze estremiste, conclude Barbano, “il passaggio di Draghi a Palazzo Chigi avrà fatto da levatrice a un’occasione liberale inedita”.

Tesi suggestiva, ma non convincente. Il presupposto che Barbano sottende al suo ragionamento è che il bipolarismo sia stato una iattura. La pensiamo all’opposto. L’idea del Centro quale fulcro stabilizzatore della democrazia d’impianto liberale è un falso mito. Neanche nella Prima Repubblica è esistito un tale punto baricentrico. La Democrazia Cristiana che, nell’immaginario collettivo, avrebbe svolto tale funzione, nella sostanza era una parte del bipolarismo “ontologico” che, negli anni dal Secondo dopoguerra alla caduta del muro di Berlino, ha contrapposto il mondo dei valori occidentali a quello del comunismo. I partiti minori hanno ruotato, con ruoli ancillari, intorno ai due piani gravitazionali dotati di maggiore massa: la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista italiano. Anche l’articolata storia del Partito Socialista italiano, il più grande tra i minori, va declinata nel senso del passaggio di un corpo a solidità variabile da un campo magnetico all’altro. La destra post-fascista rappresentata dal Movimento Sociale italiano restava avulsa, con la sola eccezione dei 123 giorni del Governo di Fernando Tambroni (1960), dalla meccanica magnetizzante della dialettica democratica. Il bipolarismo è stato introdotto con l’avvento della Seconda Repubblica inaugurata, nel 1993, col passaggio dal sistema elettorale proporzionale a un sistema maggioritario deciso dai cittadini per via referendaria. Esso ha avuto il merito di riallineare l’architettura delle istituzioni rappresentative della volontà popolare al sentire profondo della comunità nazionale che si è specularmente riconosciuta nella linea di faglia che l’ha attraversata fin dalla tragedia irrisolta della guerra civile seguita alla caduta del Fascismo. Frattura non ancora ricomposta, come dimostra la costante delegittimazione dell’avversario politico su fallaci ragioni morali.

Dietro il muro di facciata delle ideologie permane una differenza di visione del mondo tra destra e sinistra che non può essere azzerata in nome di una riduzione a un comun denominatore centrista. Tanto meno può essere il principio liberale il bisturi da usare per amputare il dibattito politico dell’irriducibilità della distanza tra gli opposti. Il pensiero liberale non può fare da giudice neutrale nella partita giocata dal progressismo contro il conservatorismo. Pensare a una convergenza al Centro, in un indistinto ideale e culturale che si preoccupi di tenere lontane dai propri ambiti le ali radicali e oltranziste non è il paradiso in terra del liberalismo, ma la rappresentazione figurata delle fumerie d’oppio dell’età vittoriana, che offrivano ai frequentatori illusorie sensazioni da pace dei sensi. La società italiana vive e trae energia positiva dalla contrapposizione di due mondi ideali, che si sfidano nella gara a tracciare le linee vettoriali del futuro della nazione. Guai se ciò venisse meno. E se c’è da ripensare a una via liberale per la società post-industriale del Terzo millennio è il pensiero politico, non un “commissario ad acta”, che deve occuparsene agendo all’interno delle regole della democrazia. Il problema, semmai, è delle classi dirigenti della Seconda Repubblica che non hanno compreso le istanze di cambiamento radicale espresse dai ceti medi produttivi. Anche la comparsa di una “terza via”, caratterizzata dalla critica anti-sistema dei Cinque Stelle, non ha comportato la fine del bipolarismo. Gli eventi di questi giorni, culminati nella creazione dell’inter-gruppo parlamentare tra Partito Democratico, Liberi e Uguali e Cinque Stelle in una logica di coalizione, hanno dimostrato come la forza originaria del bipolarismo non sia stata compromessa dalla presenza di un fattore deviante, di natura esclusivamente fenomenica, qual è stato il grillismo.

Barbano propone che il nuovo mondo venga edificato su una negazione: privare di cittadinanza la domanda di radicamento dello schema binario della politica, per cui la sordina imposta alla contrapposizione ideologica costituirebbe l’occasione liberale. Una tradizione secolare che è stata incubatrice di grandi pulsioni rivoluzionarie (ricordate la sincope risorgimentale da cui è stata generata l’Italia unita?) non può ridursi a compiti di presidio dell’ipotetico Centro. Il liberalismo ha un problema di ristrutturazione della sua offerta programmatica con cui fare i conti, non di collocazione nella geografia partitica. Deve piuttosto serrare le fila con il pensiero conservatore, per fare muro all’avanzata del progressismo, demolitore dei fondamenti valoriali della civiltà occidentale. Sarà una lunga traversata del deserto da fare con le proprie gambe, che non richiederà la presenza di un insegnante di sostegno. L’eccellente Mario Draghi si concentri sull’emergenza, se vi riesce. A riflettere sul liberalismo di domani, invece, ci pensino i liberali di oggi.

Aggiornato il 18 febbraio 2021 alle ore 08:59