La giocata di Matteo Salvini, alle consultazioni con Mario Draghi, è stata formidabile. Dichiarando la disponibilità della Lega a sostenere pienamente il Governo di salvezza nazionale, senza preclusioni di sorta su chi vi parteciperà e senza porre paletti preventivi sulle politiche che verranno realizzate, il “Capitano” ha fatto incetta di piccioni con una sola fava. Si è assicurato un posto al tavolo per la gestione dei miliardi di euro che giungeranno all’Italia mediante il canale del Next Generation Eu; libera il suo partito dallo stigma dell’inaffidabilità guadagnatosi a Bruxelles, a Berlino e a Parigi per le posizioni oltranziste sul sovranismo anti-establishment; oscura totalmente la fuga in avanti di Forza Italia, maldestramente tentata dai berlusconiani per affrancarsi dall’asse egemonico Lega-Fratelli d’Italia; manda in tilt il campo avversario il quale, intossicato dalla solita insopportabile arroganza, si era illuso di poter dettare a Mario Draghi le condizioni per la formazione del Governo.

Più che di mossa del cavallo, in questo caso si dovrebbe parlare di “mossa della sciantosa”, cioè di quel sensuale colpo d’anca con cui, nel 1911, la cantante Maria De Angelis, romana di nascita (in arte Maria Campi), nei panni della napoletanissima Ninì Tirabusciò mandò in visibilio i nostri progenitori. Con una teatrale piroetta, Salvini ha spiazzato i compari del “Conte forever” che, a leggere i commenti inaciditi dei soliti noti della cultura radical-chic, manettara e sinistrorsa, non l’hanno presa benissimo. Al cospetto del premier incaricato, il leader leghista non si è presentato con il cappello in mano. Al contrario, Salvini si è rivolto con spirito pragmatico a un campione assoluto di pragmatismo, al quale importa nulla delle distorsioni demagogiche di cui è maestra la sinistra. Il “Capitano” ha messo sul piatto il suo peso politico, che si sostanzia non solo nel favore dei sondaggi che collocano la Lega a primo partito italiano, ma nell’avere la golden share di 14 governi regionali e delle Amministrazioni di parte delle principali città, nonché di essere il punto di riferimento dei ceti produttivi nella metà del Paese, il Nord, che traina la ricchezza nazionale. A voler essere soltanto un po’ obiettivi, chi pensate che Draghi ascolti con maggiore attenzione: la Lega che porta in dote il consenso del Nord produttivo o i Cinque Stelle che, nonostante occupino molti seggi in Parlamento, non rappresentano quasi più niente nella società civile? La “mossa” di Salvini è un sasso lanciato nello stagno che produrrà effetti destinati ad ampliarsi gradualmente. Il primo è promettente: la crisi della sinistra che non accetta di stare in una maggioranza nella quale sono presenti i sovranisti. Liberi e Uguali minaccia di non votare Draghi. Alleluia! Nel Partito Democratico si fa strada l’idea, nonostante le secche smentite dal Nazareno, di un appoggio esterno al nascente Governo pur di non mischiarsi con l’odiato nemico. Doppio Alleluia! Nei Cinque Stelle, il riposizionamento di Salvini acuisce il contrasto tra l’ala trasformista/governista di Luigi Di Maio e quella barricadiera di Alessandro Di Battista, che vorrebbe stare all’opposizione del Draghi “apostolo delle élite”. Triplo Alleluia!

Si tratta, per la destra, di affrontare un tornante decisivo della storia anche se ciò comporterà andare contromano rispetto alle parole d’ordine e alle promesse fatte nel tempo agli elettori. Dateci pure degli illusi, ma la sensazione è di assistere all’inizio dello smantellamento dell’egemonia della sinistra, affermatasi anche contro la volontà del corpo elettorale. Tale considerazione sollecita una riflessione sulla posizione assunta da Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia ha annunciato che non appoggerà il Governo Draghi. La sua contrarietà è del tutto comprensibile. Giorgia Meloni ha individuato come cifra distintiva della sua politica il valore primario, ancorché desueto in politica, della coerenza. La scelta, a stare ai sondaggi, finora ha pagato. In un mondo di canne al vento, la sua rocciosa fermezza nel tenere la posizione ha conquistato prima il rispetto e poi l’apprezzamento di molti italiani. La sola idea di dover sedere a trattare con quelli ontologicamente ostili alla destra le risulta inaccettabile. A maggior ragione perché ciò porterebbe a impantanarsi in un dialogo tra sordi. Non ha torto quando fa esempi spinosi: a rinegoziare il Reddito di cittadinanza che si fa? Lo si tiene come vorrebbero i grillini o lo si cancella come invece auspicherebbe Fratelli d’Italia? E sull’immigrazione? Si apre all’invasione ascoltando le sirene multiculturaliste o si chiudono i porti e si attua il blocco navale? Come darle torto se prefigura un Governo e un Parlamento riconvertiti in torre di Babele. Tuttavia, c’è un aspetto non adeguatamente soppesato, che è l’effetto Draghi. L’ex Governatore della Banca centrale europea (Bce) è addestrato a prendere decisioni cogenti. Qualcosa ci dice che, in futuro, non vedremo uscire da Palazzo Chigi atti normativi caricati dell’ambigua formula “Salvo intese”, il cui senso concreto è: fingiamo di decidere ma nella sostanza non se ne fa niente. Con Draghi impareremo a conoscere l’importanza della categoria concettuale del “decisionismo”. Perché allora tagliarsi fuori da questo momento epocale? Il rischio per Fratelli d’Italia è di ripiombare nel passato, al tempo dello splendido isolamento del Movimento sociale italiano. Per decenni si è fatto un gioco che è andato bene a tutti. C’era il cosiddetto “arco costituzionale” che teneva fuori della dialettica democratica gli eredi del fascismo e c’era poi quell’ hortus conclusus che menava vanto della discriminazione subìta perché in qualche modo ne certificava una diversità metapolitica, morale. Quel malinteso senso di illibatezza ha nuociuto alla destra, perché le ha fatto compiere clamorosi errori di valutazione in ordine alla presunta bontà del giustizialismo, all’opportunità di riconoscere alla magistratura la funzione, impropria e improvvida, di custode di una sedicente etica repubblicana, alla centralità del garantismo nelle dinamiche dello Stato democratico, e alla qualità politica di leader innovatori nel segno dell’anticomunismo dello spessore di Bettino Craxi. È questo che vuole la Meloni? Tornare al solipsismo, malattia cronica del pensiero di destra? Sterilizzare i suoi voti in una ghettizzazione che non porta da nessuna parte?

Ora che Salvini ha piazzato un cuneo nella crepa visibile a occhio nudo a sinistra sarebbe fondamentale che Fratelli d’Italia completasse l’opera, accelerando l’implosione del campo avverso. I “compagni Popoff” della pattuglia di LeU hanno detto che dove c’è Salvini non ci sono loro, figurarsi a dividere lo spazio comune con Giorgia la “fascista”. Un cambio di atteggiamento di Fratelli d’Italia aiuterebbe moltissimo lo sforzo di orientare verso contenuti programmatici di destra l’azione del nuovo Governo. D’accordo, Draghi non è l’ideale. Meglio sarebbe stato andare al voto. Ma, visto che ciò non accadrà, perché l’inquilino del Colle non lo permette, non si deve necessariamente rimanere paralizzati come un gatto al centro della strada abbacinato dai fari di un’auto in corsa. Prendiamo atto della realtà che consegna l’Italia a una stagione lunga da vivere nel segno di Mario Draghi. Il che non vuol dire che l’ex Governatore farà le ragnatele a Palazzo Chigi. La previsione più ovvia è che “l’Era del Drago” durerà pressappoco otto anni, dei quali solo il primo avrà come epicentro Palazzo Chigi; gli altri avranno come set gli arazzi e le sale affrescate del Quirinale. Non sarebbe una buona notizia? La possibilità di dare il benservito all’odierno occupante il Colle più alto, senza perciò rischiare l’eventualità di un secondo mandato, non vale di suo un sostegno all’operazione Draghi?

Giorgia Meloni è donna di parola, e questo è fuori discussione. Lei ha dichiarato: “Non governo con il Partito Democratico e i Cinque Stelle. È una promessa fatta a tutti gli italiani che ci sostengono”. Ebbene, benché non si possa parlare per tutti gli elettori di destra ma certamente per qualcuno di essi, ci arroghiamo il diritto di sciogliere la leader di Fratelli d’Italia dai voti prestati al popolo italiano. Una donna onorabile merita di essere lasciata libera di fare il suo percorso, avendo come stella polare l’interesse della nazione e il bene degli italiani. Anche solo un appoggio esterno al nascente Governo non sarebbe tradimento della parola data, ma un ragionevole riallineamento al divenire della Storia della missione di Fratelli d’Italia. Solo i pali della luce restano piantati nello stesso posto. L’energia che scorre in Fratelli d’Italia non ne fa un palo della luce. Per fortuna.

Aggiornato il 08 febbraio 2021 alle ore 09:47