Alla fine tutta la querelle sorta tra i vari partiti e dilagata poi tra l’opinione pubblica sull’eventuale conferimento dell’incarico a premier all’ex presidente della Banca centrale europea (Bce) e la sua possibile disponibilità, ha trovato una risposta. Mario Draghi ha accettato di buona lena, ma con riserva. L’ipotesi che sommessamente avevamo ipotizzato nei precedenti articoli è stata la conclusione, alquanto scontata, alla quale è giunto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, conferendo il mandato ad una figura terza, al di fuori degli schieramenti. Se da una parte tale scelta crea delle aspettative legittime, dall’altra lascia un amaro in bocca che contribuisce ad accentuare quella sgradevole sensazione di ritrovarsi in una zona grigia della politica, incapace di giungere a delle soluzioni nell’interesse del Paese. L’autorevolezza di Mattarella ha fatto sì che la decisione del Colle, in una congiuntura così complessa per la nostra nazione, ricadesse su una personalità altrettanto autorevole, con un prestigio di livello internazionale indiscusso, che potesse rappresentare un fiore all’occhiello per tutti noi italiani. Adesso lo scoglio che rimane da superare alberga solo tra le forze politiche, il boccino passa nelle loro mani, nei voti di fiducia che necessitano affinché il nuovo esecutivo decolli, dando quel via libera necessario al fine di non rendere vano il lavoro fin qui svolto dal Quirinale, teso nell’unico intento di dare al Paese un Governo in grado di fornire delle risposte adeguate alle varie problematiche che lo attanagliano
Queste rappresentano delle vere e proprie mine, alcune già esplose con la pandemia del Covid-19, che ha creato tanti margini di incertezza nella società, altre che potrebbero, a breve, scoppiare creando delle ulteriori insicurezze sociali. Dinnanzi a tutto ciò si rimane basiti e, francamente, si affievolisce ancor più la fiducia che qualcosa possa cambiare, sul serio, nel panorama di alcuni movimenti politici che insistono ad ergersi a baluardo del bene dei cittadini italiani. Ma nei fatti lo spettacolo che forniscono è alquanto deprimente, molto più vicino a quello di una sgangherata compagnia teatrale che, da tre anni, si incaponisce a mettere in scena uno dei romanzi pirandelliani più famosi: Uno, nessuno e centomila. Proprio come in questa finzione dove il protagonista, una persona ordinaria, vive di rendita in seguito ad una eredità ricevuta, incomincia ad avere una crisi di identità che lo porterà alla follia, così si sta assistendo nei Cinque Stelle. Il risultato è pressoché lo stesso, l’ubriachezza scaturita da un’eredità di voti sembra averli pervasi e catapultati, d’emblée, in una logica di potere. Purtroppo, quando ci sono di mezzo le poltrone, tutto il resto sembra passare in secondo piano, ivi compreso quell’interesse nazionale tanto citato, peccato solo nei discorsi, quando si cercavano i voti per Giuseppe Conte.
Un colpo ci si aspetterebbe che lo battesse, adesso, proprio quest’ultimo, il vero leader del M5S. A quanto sembra, se ce ne fosse stato uno da quelle parti, sarebbe riuscito dal nulla a catalizzare il consenso dei grillini intorno al proprio nome. Il colpo che ci si aspetterebbe, in un momento del genere, consisterebbe nel dire basta con i giochini del diamo la fiducia a Mario Draghi. Poi chissà, un ministero potrebbe sempre uscire. Insistere sulla tesi di un Governo politico, come ha sottolineato Luigi Di Maio ieri in tarda serata, è cosa buona e giusta, ma se la mente non ci inganna fino a due giorni fa è stato ciò che si è cercato di fare senza alcun risultato. È pur vero, come dichiara lo stesso, che la volontà popolare è impersonata dalle forze politiche presenti in Parlamento e che i pentastellati avevano preso il 33 per cento dei voti nel 2018, ma è anche pur vero che questa percentuale è stata poi dilapidata nel tempo e non è più corrispondente alla realtà, tranne che nel “palazzo”.
In questo particolare momento sarebbe auspicabile che alcune forze politiche dimostrassero la maturità di saper andare oltre i propri steccati, comprovando responsabilità, la stessa che tempo addietro è stata chiesta agli italiani. E che adesso la si attende da chi la propinava da Palazzo Chigi, sempre inteso che il vero motivo rimanga il bene dei cittadini. Poi, riscontrata la responsabilità nei fatti, viene da sé la credibilità. In questo scenario è da apprezzare il passo in avanti fatto dagli altri partiti, nel centrodestra si sta facendo strada una posizione verso l’astensione: la proposta è stata lanciata da Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, che invita gli alleati a convergere. D’altra parte, a pensarci bene, alcuni governi degli anni Settanta sono decollati con delle astensioni e in seguito hanno portato a casa dei buoni risultati. Per consentire all’Italia di navigare in acque più tranquille ed evitare l’esplosione di quelle mine di cui si accennava in precedenza, sarebbe necessaria un’operazione di dragaggio, stando al cognome del neo incaricato premier, se riuscirà a ottenere la fiducia. Tutto fa ben sperare.
Aggiornato il 04 febbraio 2021 alle ore 10:27