
Giunge notizia che, dopo la pubblicazione del volume con il quale Luca Palamara ha reso di pubblico dominio i perversi giochi correntizi all’interno della magistratura italiana – cose peraltro già note ai più avveduti da vari decenni – 27 magistrati, appartenenti ad un gruppo di colleghi denominato dei 101 e nato in opposizione alle correnti, ha sottoscritto un documento pubblico con il quale chiedono al Procuratore generale della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi e al dottor Giuseppe Cascini, componente del Consiglio superiore della magistratura o di smentire efficacemente le specifiche accuse loro mosse da Palamara o di dimettersi.
Alcune osservazioni si impongono. In prima battuta, fa sorridere che 101 magistrati, allo scopo di contestare la condotta mortifera delle correnti, di fatto ne abbiano costituita una nuova, sia pure con tutte le buone intenzioni. Il caso somiglia infatti a quello di quel tale che, per contestare la filosofia e la sua utilità, scrisse un grosso volume di obiezioni, senza peraltro accorgersi di aver fatto egli stesso – scrivendolo – filosofia: e della più sottile e corposa! Ma lasciamo pure perdere questo aspetto. In seconda battuta, non si può che dar ragione piena a questi 27 magistrati, in quanto nel volume di Palamara, senza giungere qui ai dettagli, si raccontano moltissime vicende, alcune delle quali, vedono come protagonisti proprio quei magistrati sopra indicati. E si tratta di vicende per nulla commendevoli, se non altro perché mostrano in modo chiaro come le correnti, muovendosi come partiti politici veri e propri, abbiano seguito, nell’assegnare i posti direttivi, la logica della spartizione e della appartenenza, a prescindere dal merito. E parrebbe – a leggere le parole di Palamara – che sia Salvi, sia Cascini se ne siano avvantaggiati per i loro progetti professionali. La cosa poi più inverosimile sarebbe nella circostanza – riferita nel documento dei 27 – secondo la quale Salvi avrebbe predisposto una circolare, da loro definita “sorprendente”, “che assolve per principio chi raccomanda se stesso per incarichi pubblici e chi quella raccomandazione accetta”: mentre, di conseguenza, andrebbe censurato chi raccomandi altri invece di se stesso.
Insomma, parrebbe che secondo questa circolare a firma del dottor Salvi, se uno, prima di sostenere le prove per il concorso di notaio o di magistrato, fa in modo di auto-raccomandarsi con un componente della commissione esaminatrice o con il presidente, ottenendo poi ciò che chiede, allora tutto va bene: non si registrerebbe alcun illecito. Conclusione questa, come ciascuno può vedere, alquanto dubbia e che suscita serie perplessità, anche perché formulata proprio da chi – come Salvi – e sempre secondo quanto riferito da Palamara, si sarebbe auto-raccomandato, incontrando Palamara “su una terrazza romana”, allo scopo di occupare la poltrona da lui oggi occupata: quella di Procuratore generale della Corte di Cassazione. Sicché, il fatto – inusuale – che chi abbia commesso un fallo si affretti ad autoassolversi pubblicamente, accusando poi i colleghi per aver invece provveduto a raccomandarsi per mezzo di altri, non può che esser definito strabiliante. Infatti, l’auto-giudizio che conduce alla auto-assoluzione – come in questo caso – è un istituto sconosciuto al mondo non solo del nostro ordinamento, ma a quello del diritto, sic et simpliciter.
La surreale vicenda di Salvi somiglia a quella di quel docente universitario italiano che pochi anni fa contribuì a bandire un concorso al quale lui stesso – violando il divieto normativo – voleva partecipare, affermando che la proibizione di legge riguardava parenti ed affini di chi lo avesse bandito e che lui non lo era, in quanto nessuno è parente o affine di se stesso. Incredibile, perfino comico, ma vero: siamo ormai oltre il surrealismo. Per come pare che la cosa sia stata messa, è proprio questo che sta accadendo e non credo sia cosa facilmente accettabile, anche perché Salvi – nella sua qualità – è titolare dell’azione disciplinare verso i magistrati. Per restare coerenti a quella impostazione – dettata dalla logica dell’auto-giudizio – ne verrebbe che Salvi dovrebbe auto-accusarsi pubblicamente davanti al Consiglio superiore allo scopo di ottenere una assoluzione, di cui lo stesso è convinto e che sarebbe bene altri casomai gli elargisse: o, per lo meno, dovrebbe agire il ministro di Grazia e Giustizia, anch’egli titolare, insieme a lui, dell’azione disciplinare. Che poi, invece, la sezione della Associazione nazionale magistrati presso la Corte di Cassazione – nel silenzio assordante di Salvi – gli abbia espresso solidarietà con una nota ufficiale, non saprei definirlo altrimenti che come “fantozziano”.
Due ultime note per intendere l’assurdità di tali comportamenti e l’autoreferenzialità della magistratura italiana. La prima. Questi benemeriti 27 magistrati, oggi firmatari del documento, dove si trovavano negli ultimi anni, mentre le spartizioni correntizie vegetavano indisturbate? Come mai se ne accorgono soltanto adesso? O, essendone a conoscenza, come mai hanno atteso la pubblicazione delle rivelazioni di Palamara? La seconda. E se il gruppo di loro appartenenza si definisce dei 101, dove sono gli altri 74? E soprattutto, dove sono gli altri 8899 magistrati italiani? Dormono?
Aggiornato il 02 febbraio 2021 alle ore 09:13