
Da ieri è in scena al Quirinale una politica in cerca di rimedi alla sua crisi. Ma quella vera, profonda, che picchia duro sugli italiani, chi la cura? Non si fa fatica a immedesimarsi nel disorientamento dell’opinione pubblica alla quale sfugge il senso del disperante tatticismo dei suoi protagonisti. La gente comune combatte la congiuntura pandemica che reca povertà economica e precarietà esistenziale. E, a buon diritto, vorrebbe risposte chiare e concrete dalla classe politica di questo Paese. Vorrebbe che essa, nel suo complesso, le offrisse una visione del futuro alla quale aggrapparsi, come naufrago alla scialuppa di salvataggio. La gente finora non ha ricevuto risposte adeguate alla gravità della situazione. E al momento non si prevede che ne riceva. In compenso, le tocca di assistere a una cervellotica partita a scacchi della politica politicante che ne cattura l’attenzione quanto un lungometraggio sulle colonie di licheni della tundra siberiana, girato da un regista bulgaro e sottotitolato in lingua finnica. È come se la realtà si fosse sdoppiata in due universi paralleli: uno basso, percettibile nella scansione degli eventi concatenati che declinano le storie dei singoli individui; l’altro, etereo, iperuranico, trascendente il reale, e sovente il buon senso, castale, fintamente iniziatico, per addetti ai lavori, e come tale incomprensibile, dove i protagonisti comunicano attraverso codici linguistici che plasmano forme prive di sostanza. Ora, per quanto stimolerebbe dedicarsi al racconto delle ansie, delle angosce ma anche delle speranze che animano il primo universo, quello del mondo in basso, è dell’altro che bisogna occuparsi se non si vuole restare vittime di un peloso qualunquismo. Siamo alle prese con una crisi di governo dagli esiti assolutamente incerti.
Quali ad oggi i punti fermi? 1. Il Conte bis è morto e sepolto. 2. Il tentativo (goffo) di Giuseppe Conte, pur di restare in sella a ogni costo, di procurarsi i voti dei parlamentari transfughi è fallito. 3. La caccia ai cosiddetti “costruttori”, in realtà voltagabbana, tra improvvise folgorazioni e altrettanto fulminee retromarce, ha offerto uno spettacolo a dir poco indecente. 4. Per andare avanti nella legislatura la coalizione demo-grillina ha bisogno dei voti di Italia Viva. 5. Matteo Renzi, salito al Quirinale alla guida della delegazione del suo partito, ha dettato le condizioni per esplorare la possibilità che una maggioranza con gli ex compagni di strada del Conte bis sia ancora praticabile. 6. Il “Rottamatore” si è dichiarato contrario a un immediato reincarico all’avvocato Conte. 7. La pregiudiziale sul reincarico posta da Italia Viva non è sulla persona Giuseppe Conte ma ha contenuto politico: Renzi e i suoi vogliono rinegoziare un patto vincolante di fine legislatura che contenga la soluzione di tutti i nodi finora non affrontati, o mal gestiti, dal Governo giallo-rosso, dalla governance sul Recovery Plan italiano al ricorso al Mes sanitario, allo sblocco dei cantieri, al piano vaccinale, alla stesura di un programma organico per la ripartenza delle attività scolastiche in presenza. 8. Nel corso dell’incontro con il capo dello Stato, Renzi ha messo sul tavolo un’alternativa qualora gli ex alleati si rifiutassero di aderire alle sue richieste: la nascita di un Governo istituzionale, “del presidente”, formato da personalità di alto profilo sul quale fare convergere un’ampia maggioranza parlamentare arricchita da una quota significativa dell’odierna opposizione di centrodestra. 9. Il Partito Democratico, il Movimento Cinque Stelle e Liberi e Uguali sono arroccati sulla difesa a oltranza del premier uscente, punto di tenuta di un’alleanza altrimenti insostenibile, per cui chiedono al capo dello Stato di rinnovargli l’incarico senza condizionalità ostative. 10. Il presidente Sergio Mattarella ha preso atto che senza un’intesa tra Renzi e il resto della liquefatta maggioranza di supporto al fu Conte bis la strada per una soluzione che permetta la prosecuzione della legislatura si fa impervia. 11. La coalizione di centrodestra al completo, con annessi cespugli al seguito dei tre pilastri Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, si recherà questo pomeriggio al Quirinale per dire, con una sola voce, che oltre a chiedere il ritorno immediato al voto non saprebbe che pesci prendere. Silvio Berlusconi sarebbe per un governo istituzionale, di decantazione, da appoggiare fino alla fine della legislatura nel 2023; Giorgia Meloni non è disponibile a niente altro che non siano le elezioni anticipate; Matteo Salvini vuole il ritorno al voto ma anche no; i cosiddetti “cespugli” dell’area moderata del (più)centro-(meno)destra, quotati dai sondaggi a numeri da prefisso telefonico, di loro vorrebbero restare fedeli alla linea unitaria della coalizione ma, certi dell’oggi, non garantiscono per il domani. Tra di loro è forte l’empatia nei confronti dei turbamenti sentimentali della manzoniana monaca di Monza e del verso sublime “la sventurata rispose”, che racconta dell’umana debolezza per le tentazioni della carne.
A dire come finirà ci vorrebbe la palla di cristallo. È plausibile che il presidente della Repubblica, ultimato questa sera il primo giro di consultazioni, possa conferire un mandato esplorativo a una figura istituzionale, del tipo Roberto Fico presidente della Camera dei deputati, per verificare se una maggioranza con il blocco che ha sostenuto il Conte bis estesa al figliol prodigo Matteo Renzi sia ancora praticabile. Se sì, su quali programmi e su quale premier da designare. Perciò, un “Conte ter”, per quanto complicato, è ancora in pista. Se gli ex alleati dovessero trovare la quadra, tutto ritornerebbe a come era fino a qualche settimana fa e il centrodestra potrebbe riprendere tranquillo il mestiere dell’opposizione. Se, invece, l’incaricato dovesse tornare al Colle a mani vuote si aprirebbe un’autostrada per il “Governo del presidente”. Per Matteo Renzi sarebbe la consacrazione di un successo personale; per Giuseppe Conte sarebbe un brusco stop alla carriera di politico rampante; per il centrodestra sarebbero dolori. Berlusconi e Salvini, prima di correre ad abbracciare i nemici del tempo appena tramontato, avrebbero un bel daffare a convincere l’ostinata Giorgia Meloni a seguirli. Già, perché il problema dei leader della coalizione di centrodestra è che nessuno dei tre, caricandosi da solo l’onere di un atto di responsabilità che l’elettorato farebbe fatica a capire, vuole concedere agli altri un indebito vantaggio nel gradimento dell’opinione pubblica. Nessuno scandalo, è pur sempre tattica politicista.
D’altro canto, non è il caso di fare i moralisti: una cosa è scrivere di rettitudine e coerenza della politica, un’altra è viverle nella prassi quotidiana quando l’accavallarsi dei problemi costringe a scelte impopolari. Se non siamo al dubbio amletico poco ci manca. È più appagante mantenere la linea dell’intransigenza nel chiedere il ritorno alle urne, pur nella consapevolezza che tale opzione verrà ostinatamente negata dall’inquilino del Colle, così lasciando che sia l’ammucchiata demo-penta-renziana a massacrare il Paese per gli altri due anni che separano il presente dalla fine della legislatura, oppure è più saggio, nonostante il brutto precedente del “Governo Monti”, rientrare nella partita governativa appoggiando un Esecutivo tecnico, politicamente “neutro” ma di alto profilo nei suoi singoli componenti, che sia in grado di tutelare l’interesse nazionale in tutte le sedi, particolarmente nel contesto dell’Unione europea? Dilemma troppo complicato per la gente comune che abita l’universo basso. Tocca a coloro che dimorano stabilmente nell’altra dimensione, quella iperuranica della politica politicante, trovare la risposta. In fondo, se, come si dice, sono scesi in campo è anche perché si sono detti virtuosi della bicicletta. L’hanno voluta? Il popolo gliel’ha data? Che pedalassero!
Aggiornato il 29 gennaio 2021 alle ore 09:40