La retorica e i paragoni banalizzano il giorno della memoria

Troppa retorica, troppi paragoni impropri e troppe richieste di perdonare per conto terzi stanno banalizzando il giorno della Shoà. Per non parlare dell’odio verso Israele che viene sempre giustificato dal complottismo di destra e di sinistra. Per non parlare di quello che è da anni appannaggio degli alfieri dell’antipolitica. E che non riescono a vedere lo stato ebraico come modello neanche quando ci si deve arrendere all’evidenza che sulla campagna delle vaccinazioni anti-Covid è il Paese che ha ottenuto più successi.

Se qualcuno si aspettava un “volemose bene” di repertorio da parte della combattiva presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello dovrà ricredersi. In un colloquio con l’Agenzia Italia, infatti, la Dureghello ha parlato quasi esclusivamente di questi tre terribili fenomeni, i paragoni impropri, il buonismo perdonista e il complottismo anti-ebraico e anti-israeliano che da tempo e di fatto indeboliscono la simbologia della memoria e stanno rendendo lo “Yom HaShoah”, il giorno della Shoà, una ricorrenza tragica come tante altre.

C’è il giorno in cui si celebrano le vittime della fame, quello della natura, quello contro le armi nucleari e quello contro la violenza sulle donne e via di seguito. All’incirca per 365 giorni l’anno.

Ma nessuno di essi – a prescindere dal fenomeno tragico che segnala – può lontanamente essere paragonato all’unicità del giorno della memoria che ricorda lo sterminio perpetrato da Hitler e i suoi sodali, anche italiani. Pena la perdita e la banalizzazione – per l’appunto – della stessa memoria.

C’è poi il problema dei paragoni impropri: ogni disgrazia diventa una Shoà, la parola “negazionismo” che viene usata per la pandemia mentre andrebbe adoperata solo per coloro che negano la morte di 6 milioni di ebrei nei campi di concentramento nazisti e fascisti. Infine, ci sono i paragoni infami come quelli che fanno gli estremisti islamici – i veri nazisti della nostra era- per affermare che a Gaza si sta compiendo un Olocausto per colpa degli israeliani. Tutte cose viste per anni e forse troppo supinamente tollerate dalle stesse comunità ebraiche della diaspora mondiale, che però ormai da tempo hanno cominciato a ribellarsi a queste “banalità del male”.

C’è poi un sotterraneo compiacimento a dispiacersi e a piangere solo per quegli ebrei che morirono oltre settanta anni orsono tra Auschwitz e Birkenau o nella risiera di San Saba, mentre per gli ebrei ancora vivi in Israele e nel resto del mondo c’è una orrenda tendenza a sottovalutare il pericolo. Ad esempio nella pretesa di avere rapporti diplomatici con “Paesi canaglia” come l’Iran e il Venezuela dove l’antisemitismo è praticamente una legge dello Stato. E in questa benevolenza pseudo terzomondista – chiamiamola così – alcuni grillini di casa nostra non sono secondi a nessuno nel resto del mondo.

C’è poi il pericolo del cosiddetto suprematismo bianco antisemita notoriamente ben rappresentato negli Stati Uniti d’America tra quei seguaci di Donald Trump che ne hanno di fatto compromesso la rielezione.

E da ultimo ma non per ultimo questa ipocrita richiesta agli ebrei oggi vivi di perdonare per conto di quelli da tempo morti i loro carnefici. E magari anche quelli che ancora oggi ne esaltano le pazzesche idee che portarono allo sterminio.

“Culturalmente, questo concetto del perdono nell’ebraismo non c’è e se esiste, è frutto di un confronto fra due parti contrapposte che cercano di trovare una sintesi fra posizioni diverse. Il rapporto e il dialogo sono diretti, non può essere mai mediato. Noi non abbiamo assolutamente la delega per altri: sarebbe un abominio se io, per esempio, dicessi sì o no al posto di mio nonno. È inconcepibile. Quasi fosse una colpa se non perdoniamo...”.

Parole sacrosante che i politici italiani ed europei farebbero bene a scolpire nelle proprie limitatissime menti.

 

 

Aggiornato il 27 gennaio 2021 alle ore 16:41