Dopo Palamara, i “palamarini”

Leggendo i giornali e ascoltando le notizie dalle varie televisioni, si apprende che il Consiglio superiore della magistratura (Csm) si trova alle prese, dopo oltre un anno dallo scoppio dello scandalo, con decine di migliaia di pagine, contenenti le trascrizioni dei messaggi intercorsi fra Luca Palamara e centinaia di suoi colleghi, molti dei quali ovviamente destinati a caldeggiare, perorare, propiziare, condizionare – a seconda dei casi – nomine, trasferimenti, assegnazioni di poltrone direttive a decine e decine di magistrati. Mi rifiuto di leggerne o di seguirne in modo pignolo gli sviluppi, non solo perché le trovo stucchevoli in quanto prive di un interesse specifico ed anzi ripetitive fino alla noia, ma anche perché avevo ampiamente preconizzato ciò che sarebbe accaduto. Non occorreva vestire i panni del profeta per sapere già – nel luglio dell’anno scorso – che prima o poi i nodi sarebbero arrivati al pettine. “Quando c’è il pettine” chioserebbe, con la sua consueta e sottile ironia, Leonardo Sciascia.

Ma qui, il pettine c’è e ci sono pure i nodi. I nodi, infatti, stanno tutti nella circostanza inoppugnabile secondo la quale fra i magistrati in servizio, oggi in Italia, è difficile trovarne di quelli che siano davvero e fino in fondo esenti dal virus del correntismo carrieristico, così come portato al suo massimo luogo di raffinatezza da Luca Palamara. Certamente, ce ne sono, liberi da questo virus, ben più pericoloso di quello della odierna pandemia, ma se ne stanno nascosti, non perché temano di mostrarsi in pubblico, ma semplicemente perché pensano a fare il loro lavoro, di per sé delicatissimo, nel modo migliore. E perciò trovano nella discrezione e nel silenzio il loro territorio naturale di elaborazione dei compiti professionali. E ciò, purtroppo, al contrario di molti altri che invece riescono a trasformare la loro attività in una sorta di spettacolo pubblico e mediatico, utile poi per tesaurizzarne gli esiti a scopi carrieristici e di auto promozione personale. Sicché, i magistrati liberi dal giogo correntizio esistono, ma tacciono, sopraffatti dal clangore dei reparti d’assalto costituiti dai loro colleghi che invece, senza la spartizione correntizia, temono di venir sopraffatti, non comprendendo invece come proprio in quella spartizione risieda il pericolo maggiore per la propria libertà e per la propria autonomia di pensiero. Libertà ed autonomia che, se viste come debbono esser viste, costituiscono il tesoro più prezioso di ogni giudice, il quale dovrebbe esser pronto a sacrificare ogni altro ipotizzabile interesse o vantaggio allo scopo di preservarle.

E invece no. Dalle pagine zeppe di messaggi e messaggini, emerge una realtà ben diversa, fatta di alleanze, scontri, spartizioni, ricatti, lottizzazione continua e pervasiva: uno scenario insomma tristissimo quanto conosciuto ben prima di scoprire questi altarini, i quali, una volta scoperchiati, non hanno fatto altro che confermare quanto già ogni osservatore appena attento alle cose italiane ben sapeva. Ebbene, questi nodi ora giungono al pettine, ad un pettine che c’è. Il pettine è costituito qui non solo dalla grande massa dell’opinione pubblica, la quale ora non può più ignorare i giochi correntizi di coloro che erano deputati a giudicare i comportamenti dei cittadini in termini di liceità o di illiceità. E che perciò è indotta ad operare, di questi giochi perversi, una valutazione, a formulare un giudizio, un terribile giudizio; ma questo pettine è anche costituito – incredibile a dirsi – dalle istituzioni medesime. Infatti, sono proprio gli organi istituzionali a costituire oggi – per dir così – la “pietra d’inciampo” di Palamara e dei “palamarini”, se così posso scherzosamente definire tutti quei magistrati che adesso, con enorme imbarazzo, son chiamati a render conto delle spartizioni correntizie ove pascolavano senza timore e con una invidiabile sicumera. Infatti, per un verso, il Consiglio superiore e, per altro verso, la Procura generale della Cassazione, ove peraltro siedono gli stessi “palamarini”, ora chiedono conto del come e del perché di quei maneggi: intendono insomma – come fossero appunto un pettine – sciogliere quei nodi. Ma quei nodi, anche se si scioglieranno, non potranno impedire il sorgerne di altri, probabilmente della stessa natura. E comunque non potranno mai esser davvero sciolti, dal momento che son chiamati a scioglierli proprio coloro che avevano contribuito ad annodarli: insomma, un pettine che annoda invece di sciogliere.  Come dire che i “palamarini”, impossibilitati a risolvere il problema, potranno generare altri a sé simili. E ciò finché non si stabilirà, una volta per tutte, di proibire le correnti della magistratura poiché, di questa, esse sono il cancro.

Aggiornato il 15 gennaio 2021 alle ore 12:43