Il sacro fuoco della democrazia brucia nell’urna dimenticata

La violenza barbara involgarisce chi soffia e sputa il sacro fuoco della vendetta sul tempio della democrazia: Capitol Hill. I piromani dei social sanno destreggiarsi bene fra le pieghe del malcontento e prendono il sopravvento al coro di “volgare attacco alla democrazia”. Poi se la ragione è figlia di un’esasperazione dettata dal sospetto di un broglio, sventola il bianco lino della pace e del rispetto delle istituzioni. E della volontà popolare? Un grande “chissenefrega”, perché la violenza è sempre da condannare. Sta bene.

S’avverte nell’aria quell’acre odore, sinistro, che puzza di bruciato, e non solo metaforicamente. Chi accusa brogli, scagli la prima pietra. E infatti. Ma guai a mettere in dubbio la veridicità del responso delle urne. Sei complottista, sei trumpiano, sei fascista, sei razzista, devi morire.

Già, le elezioni, parola dimenticata dalle nostre parti mentre scendono in piazza Oltreoceano, noi qui ci facciamo rimbalzare le notizie nei tg fra una polpetta al sugo e un rimprovero al figlioletto che si lagna. C’è la pandemia, si dice, della crisi di governo poco importa e forse nessuno ci crede, a cominciare da Matteo Renzi, che sgomita, fa baruffe mediatiche, scrive lettere, chiede rimpasti e rimpastini. Perché tutto cambi per non cambiare niente. Da noi governano gli sconfitti. Sarà per questo che non si riesce mai a votare. Importa nulla della volontà popolare, perché nulla importa dei destini della gente. “Consumano la terra in percorsi obbligati i cani alla catena disposti a decollarsi per un passo inerte più in là”, cantava Giovanni Lindo Ferretti, che non votava a destra. Ma le unghie si riconoscono bene e grattano sulle poltrone di comando, mentre fa comodo aizzare il fuoco sulla destra amica di Donald Trump. Una volta questo modus operandi si chiamava “spostare l’attenzione”. In questo a Palazzo (Chigi) sono maestri.

Aggiornato il 11 gennaio 2021 alle ore 09:39