In un libro tutti i depistaggi sulla strage dell’Olp a Fiumicino

Se hanno potuto depistare nella maniera raccontata nel libro “Lo sparatore sono io!” – scritto a sei mani da Francesco Di Bartolomei, Nuccio Ferraro e Antonio Campanile – per 47 anni le indagini per la strage dell’Olp a Fiumicino di quel maledetto 17 dicembre 1973, ci vuole un atto di fede per volere credere che non sia avvenuta la stessa cosa per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 e per l’aereo caduto a Ustica il 27 giugno di quello stesso anno. C’è anche una coincidenza: per queste tre stragi il segreto di Stato persiste quasi in maniera ermetica e i tanti familiari delle vittime – che spesso si sono lasciati strumentalizzare quando non candidare in Parlamento, per portare avanti teoremi indimostrati su Bologna e su Ustica – non hanno mai fatto altrettanto fuoco e fiamme, perché venisse tolto il segreto anche sulle stragi palestinesi in Italia. Dei tre coautori, uno, l’ultimo su elencato, è colui per il quale il libro in questione ha anche una valenza autobiografica fatta di reminiscenze quasi proustiane, benché non basate tanto sul sapore dei biscotti di Madeleine quanto sul ricordo dell’odore della polvere da sparo di quel mezzogiorno e mezzo di fuoco. Trentadue morti e decine di feriti che non hanno avuto alcuna giustizia grazie a chi all’epoca attivò il “sistema immunitario” a favore del terrorismo dei palestinesi in Italia. Che si chiamava, e forse ancora si chiama, “Lodo Moro”.

Ma oggi, dopo quasi mezzo secolo e dopo essere stato praticamente costretto a lasciare la polizia già due anni dopo l’attentato, colui che quella mattina tentò di evitare il peggio sparando contro i fedayn – e “meritandosi” per questo una dura reprimenda nonché una settimana di consegna in una caserma dove venne anche interrogato come se fosse stato lui a compiere un qualche reato – è uscito allo scoperto, scrivendo questo bellissimo e commovente libro mentre il coautore, Francesco Di Bartolomei, spiegava l’intricata vicenda in un’intervista a Michele Lembo andata in onda a Radio Radicale. È una brutta storia culminata solo pochi anni fa in un altro “depistaggio” stavolta giornalistico. Lo racconta lo stesso protagonista a pagina 88 del libro: “Adesso tutto si spiegava. Era di colpo tutto chiaro nella mia mente. Una luce improvvisa si era accesa sui miei ricordi, aiutandomi a rivederli da un altro punto di vista. E così ho ricordato l’ordine di non andare oltre, quando, dopo i primi colpi da me sparati, avrei potuto continuare nell’azione e fermare l’aereo. Ho capito il senso di recuperare i tre bossoli e di consegnarli al maresciallo senza lasciare traccia. Ma soprattutto ora era chiaro il perché della mia segregazione in caserma subito dopo l’accaduto. Una sorta di quarantena strategica per fini politici”.

Queste parole Antonio Campanile le ha scritte ricordando quel che provò quando vide in televisione in uno di questi programmi di “inchiesta” e di “approfondimento” – nel caso in ispecie sull’attentato di Fiumicino a 40 anni di distanza dai fatti – il solito testimone mascherato e con la voce alterata che spiegava come “era stato lui il misterioso sparatore contro i fedayn”. Uno “sparatore” che in realtà praticamente nessuno conosceva e il cui nome quasi mai apparve sui giornali e nemmeno nei resoconti delle varie “commissioni stragi” che si sono susseguite nel Bel Paese. Tenere lontano dai media e dai magistrati il signor Campanile fu il primo perno di un depistaggio che, praticamente, contribuì non poco a creare un’atmosfera da guerra fredda: non più tra Usa e Urss ma tra israeliani e palestinesi, sul nostro territorio. E da quel momento Aldo Moro divenne uno dei politici più detestati negli Usa, e a bene vedere con più di una ragione, anche se poi questo fatto venne tirato fuori, secondo la nota figura retorica del “post hoc, ergo propter hoc”, quando Moro fu rapito. E il Partito Comunista italiano si buttò subito a pesce sul complottismo di repertorio anti-americano e anti-israeliano. Complottismo che non confliggeva con la matrice marxista-leninista delle Brigate Rosse, visto che tutti i gruppi terroristici nel mondo – da sempre e di qualunque orientamento ideologico, religioso o politico – sono sempre stati pronti per soldi a svolgere il lavoro sporco, che neanche gli agenti segreti con licenza di uccidere possono effettuare.

Moro e politica filo-araba italiana a parte, il libro è tutto da leggere, una miniera di informazioni su “di che lagrime grondi e di che sangue” la politica estera all’italiana. Non solo – per citare Francesco Cossiga – “un Paese con la moglie in America e l’amante in Libia” ma una classe politica da doppio gioco durante la guerra fredda. Qualcosa di simile al collaborazionismo dei francesi con gli occupanti nazisti. Noi “collaboravamo” con quegli stessi terroristi che dicevamo di volere combattere.

Antonio Campanile-Nuccio Ferraro-Francesco Di Bartolomei, “Lo sparatore sono io!”, prefazione di Francesco Sidoti

Aggiornato il 22 dicembre 2020 alle ore 10:39