Un lato positivo nell’agitarsi di Matteo Renzi c’è: continuando a minacciare la crisi di Governo, il “guastatore” di Rignano sull’Arno sta spingendo il Partito Democratico a fare retromarcia sulla modifica della legge elettorale in senso proporzionale. Lo si intuisce dai ragionamenti che Dario Franceschini, capodelegazione “dem” al Governo, sta sviluppando in queste ore. Per il ministro per i Beni, le Attività culturali e il Turismo, ed eminenza grigia del Conte bis, farsi usurare dalla guerriglia modello Viet Cong della pattuglia di Italia Viva, alla lunga, sarebbe devastante per i destini della maggioranza. In realtà, il Matteo Renzi che spara a palle incatenate sul premier sarebbe un bluff: tira la corda perché è certo che mai il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sancirà la fine anticipata della legislatura. A Renzi “non frega niente del Giuseppe Conte 3 o del Mario Draghi 1, perché mira ad avere l’ultima parola sulla scelta del prossimo capo dello Stato, visto che, conti alla mano, la constituency per l’elezione del presidente della Repubblica, rafforzata dalla partecipazione dei grandi elettori delle regioni, darebbe una sostanziale parità tra maggioranza e opposizione.
Se la strategia dei “dem” si limitasse al tirare a campare fino all’inizio del 2022, al solo scopo di impedire alla destra plurale di Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi di portare un proprio uomo – o una propria donna – al Colle, sarebbe un errore. Non ci si può fidare del suq parlamentare che si aprirebbe tra gli accasati nell’indecifrabile Gruppo Misto, disponibili a “negoziare” singolarmente il proprio voto col maggior offerente. Tanto più che, per l’elezione presidenziale, il soviet contiano non potrà godere dell’ombrello della fiducia per tenere in riga tutti i supporter. In uno scenario del genere Renzi ci sguazzerebbe come uno squalo in una vasca di ombrine. Piuttosto che tentare la sorte, stando alla ricostruzione di Francesco Verderami su “Il Corriere della Sera”, Franceschini sarebbe dell’idea di giocarsela, cogliendo in contropiede l’inaffidabile alleato di Italia Viva. Anziché rimanere asserragliati nel fortino di una maggioranza che fa acqua da tutte le parti e che è bersaglio quotidiano di “fuoco amico”, meglio sarebbe andare alle elezioni anticipate, mettendo in piedi una coalizione di centrosinistra con dentro il Partito Democratico, il Movimento Cinque Stelle, Liberi e Uguali e, a sorpresa, una lista “Per Conte presidente del Consiglio”. Franceschini è convinto che un premier che si rappresenti agli elettori come vittima di una congiura di Palazzo sarebbe un valore aggiunto per il centrosinistra. Ciò inchioderebbe la controparte di destra alla figura ingombrante di Matteo Salvini: simbolo ontologico di quel male assoluto che il “campione” Giuseppe Conte sarebbe chiamato a sconfiggere in nome di una superiorità morale che la sinistra non ha mai smesso di rivendicare dai tempi di Enrico Berlinguer. Salvini, poi, è “l’arcinemico” ideale per il suo essere malvisto in Europa, per le posizioni intransigenti in materia di accoglienza degli immigrati e, più in generale, per l’ostilità alla diffusione del multiculturalismo negli interstizi della società non ancora raggiunti dalla filosofia delle “porte aperte” e dell’Italia sintonica con le traiettorie politiche tracciate, in sede europea, dall’asse franco-germanico. La presenza in campo di Conte favorirebbe il drenaggio, al centro, del voto moderato, posto che esso ancora esista in natura, desideroso di distanziarsi dalle posizioni oltranziste della destra radicale e sovranista. Franceschini prevede che dal perimetro del centrosinistra venga tenuto fuori Matteo Renzi. Cosicché, il dimagrimento di un terzo dei parlamentari, introdotto con l’approvazione della riforma costituzionale sugli assetti di Camera e Senato, e lo scontro titanico tra i due poli contrapposti, nei collegi uninominali a sistema maggioritario, che in base al Rosatellum – la legge elettorale vigente - assegnano il 37 per cento dei seggi precluderebbero l’approdo in Parlamento alla scialuppa corsara di Italia Viva. Resterebbe la seconda porta d’ingresso del 61 per cento dei seggi ripartiti in base al criterio proporzionale, mentre il rimanente 2 per cento dei seggi è appannaggio del voto degli italiani residenti all’estero.
C’è, tuttavia, l’ostacolo della soglia di sbarramento che consente l’accesso alla ripartizione dei seggi nei collegi plurinominali solo alle liste che abbiano ottenuto il 3 per cento dei voti a livello nazionale. È di tutta evidenza che, stando ai sondaggi, Italia Viva avrebbe non poche difficoltà a superarla, a maggior ragione se la polarizzazione sui due sfidanti dovesse richiamare la necessità del cosiddetto voto utile. Con un tale schema il centrosinistra coglierebbe due piccioni con una fava: competere con qualche chance di vittoria in un contesto che lo vede potenzialmente soccombente rispetto alla coalizione di destra e, anche in caso di sconfitta, comunque liberarsi di Matteo Renzi, pericolosa spina nel fianco. Il ragionamento non fa una piega. Bisogna capire se Dario Franceschini l’abbia pensata come strategia o come tattica. Non è la stessa cosa. Nel primo caso sarebbe un progetto da prendere sul serio; nel secondo, una boutade per richiamare all’ordine l’indisciplinato alleato mediante la più classica delle minacce: o ti allinei o ti facciamo fuori. Renzi non ha l’esclusiva delle mosse sulla scacchiera. Questa volta, Franceschini ha risposto con un “blocco” che impedisce al senatore di Scandicci di manovrare indisturbato. Ma la sortita produrrebbe effetti anche nel campo nemico. Nel momento nel quale Silvio Berlusconi, scettico verso soluzioni di Esecutivi tecnici di salvezza nazionale, ritorna sulla disponibilità a dare una mano al Governo in carica, una corsa anticipata alle urne lo costringerebbe a ricompattarsi con gli scomodi alleati sovranisti. Il che farebbe tirare un sospiro di sollievo ai “dem”, ben consapevoli che l’abbraccio berlusconiano a Giuseppe Conte avrebbe come immediata conseguenza il collasso dei grillini. L’idea di accogliere Forza Italia nell’attuale maggioranza farebbe deflagrare lo scontro all’interno del Movimento rendendo impossibile ogni successiva ricomposizione. Ai “dem” non basta avere assoggettato i Cinque Stelle alla propria egemonia: serve che restino uniti, sia per conservare lo zoccolo duro di consensi, sia per impedire la formazione di un nucleo protestatario antisistema, magari capitanato da Alessandro Di Battista, in grado di captare lo scontento degli elettori di sinistra.
D’altro canto, una rottura traumatica tra i grillini suonerebbe per l’elettorato di riferimento come un liberi-tutti. E non è affatto scontato che quel bacino di consenso confluisca meccanicamente nel Partito Democratico. Comunque sia, questo scorcio di legislatura, segnato dal duello all’ultimo sangue tra Renzi e Conte, ricorda la chicken run (corsa del pollo) di Gioventù bruciata. Due ragazzi, alla guida ciascuno di un’auto, si sfidano in una volata verso un precipizio. Vince chi si lancia per ultimo dall’auto in corsa prima di precipitare nel burrone. A essere cattivissimi, e nient’affatto compassionevoli, l’augurio è che stavolta Renzi e Conte facciano sul serio e che lo sportello s’incastri a entrambi, così che finiscano tutti nel burrone della sconfitta elettorale. Protagonisti al volante e tifosi di contorno.
Aggiornato il 23 dicembre 2020 alle ore 09:36