
Aveva proprio ragione Gerhard Ritter, il quale, riflettendo sul potere, ne metteva in luce il “volto demoniaco”, insieme alla necessità del suo utilizzo in ogni consorzio umano. A pensarci bene, infatti, il potere – politico, economico, sociale, giudiziario, mediatico – va inteso come la capacità di condizionare la vita degli altri, potenzialmente di tutti gli altri, milioni di altri, indirizzando in modo più o meno cogente, più o meno diretto, i loro comportamenti e le loro scelte. E qui siamo ancora nella dimensione fisiologica, quella cioè necessaria alla fondazione ed al mantenimento di ogni compagine sociale meritevole di questo nome. Se non ci fosse il potere, nessuna coesione sociale sarebbe possibile fra esseri liberi e pensanti, nessun ordinamento giuridico e politico.
Tuttavia, il potere mostra anche quel volto demoniaco sopra accennato, nel senso che esso facilmente degenera nella gratuita sopraffazione dell’uomo sull’uomo, come la storia insegna con numerosissimi esempi. Queste sono le considerazioni che sorgono in modo naturale, al solo sentire che, secondo alcune voci, Giuseppe Conte, in difficoltà con la sua maggioranza, cerca di predisporre un percorso che possa condurre ad un Conte addirittura ter. Insomma Conte, non contento di aver governato prima con la Lega e poi contro al Lega, adesso starebbe cercando un nuovo modulo governativo con altra inedita ed imprevedibile maggioranza che non si sa oggi quale potrebbe essere. E uno si chiede: tanto può il desiderio di restare attaccato alla poltrona? Quale e quanto può sedurre il gusto del potere? Ora, che il potere possa sedurre e perfino ammaliare con quello che Leonardo Sciascia più volte definì come il suo “profumo”, capace di far girar la testa, è ovvio e non si dice nulla di nuovo ripetendolo. Non a caso, George Orwell notava che “mai nessuno prende il potere con l’intenzione di abbandonarlo”. E ciò accade a tutti i livelli in cui il potere si manifesta, anche presso i più bassi e poco significativi: capo del Governo, ministro, capogruppo parlamentare, governatore di Regione, assessore, sindaco, rettore dell’Università, primario ospedaliero, docente ordinario, preside; ma anche presidente di Tribunale, di Corte d’Appello, di Cassazione; nonché amministratore delegato di società multinazionali, nazionali, regionali e perfino locali; e la musica incredibilmente non cambia per la poltrona di governatore del Rotary o Lions e perfino, ancor più incredibilmente, per quella di presidente di un singolo club appartenente a queste associazioni. C’è da credere che si farebbe a sprangate anche per la poltrona di capo-condomino o della bocciofila.
Ma perché? Basta il profumo del potere? Basta la sua capacità di seduzione? Anche perché va detto che l’esercizio del potere implica anche molti aspetti tutt’altro che facili o di semplice soluzione. Non solo i problemi a volte giganteschi da affrontare, ma anche e soprattutto la necessità di schivare le trappole politiche, mediatiche, sociali che provengono dagli avversari politici, ma anche da quelli che stanno nelle proprie fila: e sono i più pericolosi. La giornata dell’uomo di potere, insomma, trascorre fra preoccupazioni, problemi, insidie, tentativi di resistenza, di resilienza, di vendetta, di salvezza e via di questo passo. Come dire l’inferno sulla terra: mai o quasi mai un giorno di vera pace, di serenità, perché bisogna sempre prevedere gli attacchi, i modi di restare ancorati alla poltrona, di resistere a chi ti vuole disarcionare. Eppure, nonostante questo inferno, chi sta al potere – come Conte – farebbe carte false pur di restarvi ancora all’infinito. Viene alla mente un episodio della vita di Dario, re di Persia, narrato da Erodoto. Dario confidava ad un suo consigliere che avrebbe mosso guerra alla Grecia. E “poi? gli chiese quello. “E poi all’Arabia”, aggiunse Dario. “E poi?” insistette il consigliere. “E poi all’Egitto”, concluse Dario. “E poi?” ancora insistette quello. “E poi – concluse il re – mi riposerò”. E il consigliere allora domandò: “Ma perché non ti riposi ora?”. Non si tratta soltanto di una semplice storiella, ma di un aneddoto molto istruttivo da diversi versanti. Esso ci dice infatti che la sete di potere è sostanzialmente senza limiti, ma anche che il potere – vissuto ed esercitato in questo modo, vale a dire in modo autoreferenziale – si palesa drammaticamente “vuoto”, incapace di soddisfare in linea di principio chi lo detenga.
Siamo in presenza di un vero delirio che avvince molti soggetti che godono di fette più o meno estese di potere e che se ne nutrono come di una droga che li alimenta nel momento stesso in cui li uccide. Sicché si dovrebbe fare in modo da permettere che il potere sia consegnato ed affidato soltanto a chi non lo voglia detenere, per il semplice motivo che ne abbia paura o almeno ne tragga una preoccupazione umanamente significativa. Insomma, date il potere a chi ne tema l’esercizio per rispetto nei confronti degli esseri umani. Toglietelo, invece, a tutti gli altri. Cioè – oggi – al novanta per cento dei potenti.
Aggiornato il 22 dicembre 2020 alle ore 12:05