La dea Fortuna e la lotteria degli scontrini

Per combattere l’evasione fiscale il Governo fa scendere in campo nientepopodimeno che la dea Fortuna vestita da lotteria, che dal primo gennaio inizierà a baciare chi si farà trovare con lo scontrino in mano.

La lotteria è uno strumento fortemente simbolico, che risponde a politiche marcatamente populiste, al pari di altri strumenti messi in campo in questo periodo. Per chi conosce la complessità del fenomeno evasivo non è difficile prevedere che essa non produrrà risultati significativi, come del resto è avvenuto in quasi tutti i Paesi nei quali è già stata sperimentata.

Tra le esperienze di Argentina, Brasile, Slovacchia, Taiwan, Cina, Malta e Portogallo, la sola positiva è quella portoghese. Nel Paese lusitano l’evasione è in effetti diminuita, ma è possibile, come indicano alcuni studi, che al buon esito abbiano concorso in maniera significativa anche l’incremento dei controlli e la trasformazione dei processi produttivi di un’economia in evoluzione. La “Fatura de sorte”, come lì si chiama, allora, può avere bensì contribuito al risultato, ma non essere stata il fattore determinante. In Brasile, Argentina e Slovacchia, invece, l’esperimento si è trasformato in un vero e proprio fallimento e i rispettivi governi hanno fatto marcia indietro nel giro di poco tempo.

Perché anche in Italia la dea bendata potrebbe non conseguire i risultati sperati? I motivi stanno prima di tutto nella radice sociale dell’evasione, con la quale gli strumenti di contrasto devono giocoforza confrontarsi.

L’evasione si regge su un patto trasversale tra cittadini o almeno tra una stragrande maggioranza di essi, patto che li unisce e contrappone allo Stato percepito, più o meno fondatamente, come una specie di conte Ugolino affamato di soldi.

La lotteria realizza una forma di contrasto di interessi fra chi compra e chi vende, e in questo modo prova a rompere, proprio, quel patto: all’interesse del venditore di evadere, contrappone l’interesse del compratore di avere lo scontrino per tentare la fortuna. Il contrasto di interessi, però, funziona solo se lo strumento che lo incarna è a tal punto forte, sicuro ed economicamente conveniente da prevalere sul patto. Se non ha queste caratteristiche, diventa un’arma spuntata ed è il patto a vincere.

Che le cose vadano così e che l’homo sapiens così si comporti, è ormai dimostrato dai risultati ai quali sono giunti l’economia comportamentale e la scienza delle scelte. Le neuroscienze applicate all’economia hanno infatti provato con l’evidenza di laboratorio che tutti i comportamenti ad impatto economico sono guidati da un complesso processo neurale che, nel giro di pochi istanti, porta il soggetto alla decisione cosciente. Il sistema limbico, cioè, attiva una reazione, una catena neurale, appunto, che determina la decisione sul da farsi.

Già, ma cosa alimenta e cosa orienta questa catena? Tra i primi fattori di resistenza ad accettare un ipotetico beneficio economico – come può essere la vincita ad una lotteria o la deduzione di una spesa – si collocano, oltre alla complessità degli adempimenti, la pochezza del vantaggio, la sua incertezza e la sua lontananza nel tempo. Più è modesto, aleatorio e più si allontana la sua concretizzazione monetaria, maggiore è la riluttanza ad accettarlo.

Queste scoperte spiegano molte cose del mondo delle tasse, ma soprattutto spiegano una cosa fondamentale in quello dell’evasione: nel contrasto di interessi il beneficio deve essere a tal punto elevato, certo e rapido da indurre chi potrebbe ottenerlo a rompere il patto sociale che lo lega agli altri. Ma finché lo Stato sarà famelico e la spesa pubblica sarà priva di sostanziali controlli sui risultati che produce, quel patto reggerà, anzi si rafforzerà perché l’evasione sarà vissuta come aiuto reciproco per sopravvivere. E neppure la dea Fortuna, specialmente in questo tornante storico, riuscirà a romperlo.

(*) agiovannini.it

Aggiornato il 18 dicembre 2020 alle ore 09:34