Capire il negazionismo

Sto cercando di capire che cosa sia il negazionismo, di sento parlare ogni due per tre. Mi chiedo se si tratti di una spregevole menzogna (quando, ad esempio, investe l’Olocausto), una dimostrazione di stupidità congenita (nei casi in cui nega la pericolosità del Covid), ovvero il sintomo di una incredula ostinazione, non sempre meritevole di riprovazione.

C’è negazionismo e negazionismo, insomma: uno ridicolo e scioccamente pregiudiziale, uno forse no.

Temo che incomba su di noi il motto dei Gesuiti, che prescrive di non negare mai, di affermare raramente e distinguere spesso.

Fatta eccezione per i casi di cui ho detto – Olocausto, in primis – il negazionismo risente di una caratterizzazione negativa di cui è prova nella desinenza perché la critica investe la negazione in sé, che a qualcuno non piace(va). Negare equivale a disconoscere e, prima o poi, diventa veicolo di dissenso. Chi dubita, mette in discussione la verità confezionata, sia religiosa che politica.

Una cosa, però, accomuna il negazionismo più deteriore al suo apparente nemico, il dogmatismo: la tendenza a ricondurre al complotto la realtà sgradita. In questo, negazionisti e dogmatici sono identici e mostrano di essere figli della stessa madre: quella dei cretini, la quale, si sa, è sempre incinta.

Aggiornato il 17 novembre 2020 alle ore 10:37