Pandemia, governo e regioni: la radice dello scontro

In questi giorni si sta assistendo ad un pesante scontro tra Governo e Regioni sulle misure di contenimento del Coronavirus e su quelle limitative delle libertà economiche.

Il motivo principale del conflitto – lo dico subito senza inutili giochi di parole e saltando a piè pari la cronaca degli avvenimenti – risiede nello iato rappresentativo tra centro e periferie, ossia tra Parlamento e Governo, da un lato, e territori, da un altro. È la profonda discrepanza rappresentativa, insomma, la vera molla del conflitto o almeno quella che più di altre ostacola la convergenza delle soluzioni. Divario che porta con sé, per forza di cose, la diversità di valutazioni e ricette da mettere in campo.

Questo aspetto va al di là degli interessi spicci e dei pur presenti ostacoli d’ordine costituzionale. La politica, lo sappiamo, è fatta anche di esigenze legate a questioni di bottega, di convivenza sui territori, di responsabilità giuridica, ma anche di ricerca e mantenimento del consenso e di conservazione di poltrone. E questo vale per tutti gli attori del momento, di opposizione e di maggioranza. I falsi moralisti non mi sono mai piaciuti e non intendo certo entrare oggi a far parte di questa pur folta schiera.

D’altra parte, anche i difetti di coordinamento di fonte costituzionale tra poteri statali e quelli regionali non agevolano la risoluzione delle questioni. Anzi, vien da dire che più queste sono contingenti più l’articolo 117 della Carta complica la ricerca di soluzioni condivise. Il titolo V è la peggiore pagina della storia costituzionale della Repubblica, sia per il diritto, sia per i governanti e i cittadini.

Quel che intendo mettere in evidenza, però, non sono tanto questi aspetti, quanto la radice assai più profonda che alimenta lo scontro istituzionale in atto. Radice malevola, che va oltre la politica quotidiana, la pratica di governo e la confusione delle regole. La radice è per l’appunto quella che ho indicato all’inizio e che coincide con la frattura di rappresentatività fra centro e periferia, col divario profondo che da mesi si è formato tra palazzi romani e territori.

La composizione di Governo e Parlamento non è più specchio del Paese reale, non riflette adeguatamente il peso dei partiti in campo per come misurato nelle urne regionali dopo il voto nazionale del 2018. Avere voluto forzare la realtà politica del Paese, averla piegata per far sbocciare esecutivi innaturali e per continuare a tenere in vita un Parlamento non più rappresentativo della voce dei territori, ha creato una frattura radicale tra questi e la maggioranza partitica che dal centro pretende di continuare a governare il Paese.

Quello di far nascere governi innaturali fu un errore di sostanza, compiuto sia all’inizio della legislatura, sia nell’estate dello scorso anno, con responsabilità distribuite su molti livelli. Errore di merito, non di forma. Tutte le scelte, infatti, furono compiute nel rispetto delle regole. Ma la sostanza fu tradita e anche oggi continua ad esserlo.

La realtà è vendicativa: se forzata oltre misura, sebbene in omaggio alla legge, per perseguire interessi ad essa estranei, prima o poi si vendica, mandando il sistema in cortocircuito. Proprio quello che sta accadendo in queste ore.

Non sembri strana questa affermazione. Qualcuno l’ha fatta prima di me: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27). Lo disse un ebreo vissuto duemila anni fa che, anche se considerato solo nella sua dimensione umana, pare ci vedesse lungo.

Aggiornato il 09 novembre 2020 alle ore 09:57