
A questo punto perché non cambiare l’articolo 27 della Costituzione e farla finita per sempre con questo concetto, a cui nessuno crede, della pena come rieducazione e con questi diritti umani del detenuto che in Italia sono un’ipocrisia, come denunciano ogni giorno che Dio manda in terra gli esponenti del Partito Radicale o quelli di “Nessuno tocchi Caino”, che poi sono quasi gli stessi? Il compiacimento con cui certa stampa – e non solo Marco Travaglio – ha salutato il passaggio in giudicato di una pena a sei anni e mezzo di reclusione per Denis Verdini – per carità magari sicuramente colpevole – e la sua successiva costituzione in carcere a Rebibbia suggeriscono la precedente riflessione. L’articolo 27 della Costituzione andrebbe cambiato così: “L’Italia è una Repubblica che predilige il valore vendicativo della condanna penale. La Repubblica non crede nel valore rieducativo della pena ma solo in quello della deterrenza e della terribilità del carcere”. E già che ci siamo il novellato articolo della Costituzione, potrebbe concludersi così: “Lasciate ogni speranza o voi che entrate”. Che una citazione del sommo poeta ci sta sempre bene.
Ironia? Sarcasmo? Paradosso? Può darsi. Ma è tutto vero. Un Paese in cui gli editorialisti dei maggiori quotidiani nazionali – dove possono pontificare spesso con somma prepotenza – praticamente esultano per un settantenne, un vecchietto, che deve subire l’umiliazione della galera, condita con il pericolo di rimetterci le penne viste le carenze sanitarie in tempo di Coronavirus, non può che meritarsi una simile Costituzione. Lo Stato di diritto, ormai, non esiste più e allora se ne prenda atto. Dedichiamoci a costruirne uno che si incentri sulla vendetta della società sull’individuo. Tanto, ormai, ci siamo già portati avanti con lo sporco lavoro da anni.
Aggiornato il 06 novembre 2020 alle ore 09:33