
Non tutto è Covid. C’è, fuori l’uscio di casa nostra, il terrorismo di matrice islamica che rialza la cresta. Dopo la Francia è stata la volta dell’Austria ad essere colpita. Questa notte un commando terrorista è entrato in azione nelle vie centrali di Vienna impiegando armi pesanti, probabilmente fucili mitragliatori Kalashnikov. Al momento in cui scriviamo il bilancio delle vittime è provvisorio (quattro morti e decine di feriti) mentre, dopo che le forze di sicurezza austriaca hanno neutralizzato un primo attentatore, prosegue la caccia all’uomo per individuare gli altri componenti del gruppo di fuoco. Ora che abbiamo l’ennesima conferma che il terrorismo islamico non è morto ma continua ad esserci in Europa, vivo e vegeto, la domanda è: quanto la memoria collettiva dei popoli dell’Occidente impiegherà a dimenticare l’accaduto? E noi italiani, quanto abbiamo impiegato a scordare i morti francesi degli ultimi raid terroristi?
Le vittime italiane da Coronavirus, che aumentano a vista d’occhio, sono un pugno sferrato dritto allo stomaco di ciascuno di noi. E chi oserebbe negarlo. Ma ci sono morti per altra causa di cui si cassa rapidamente il ricordo perché non sono storia, sono cronaca quotidiana. Sono i morti ammazzati in Francia da mani di spietati terroristi islamici. È presto per conoscere le vittime di Vienna ma dello sgozzamento del professore Samuel Paty, la cui testa è rotolata, lo scorso 16 ottobre, in una strada di Conflans Sainte Honorine, nei sobborghi di Parigi, neanche fosse una palla da bowling, qualcuno ne ricorda il perché? Il 29 ottobre, a Nizza, un altro assassino si è messo all’opera in nome e per conto di Allah. Brahim Aoussaoui, tunisino di 21 anni, sbarcato da clandestino a Lampedusa e, dopo un lieto soggiorno al Grand Hotel Accoglienza Italia, penetrato in Francia, è entrato di buon mattino nella basilica di Notre-Dame de l’Assomption: la cattedrale di Nizza, dove ha trucidato il sagrestano e due donne prima di essere neutralizzato dalle forze dell’ordine, accorse sul posto. L’uomo assassinato si chiamava Vincent Loquès, aveva 55 anni ed era padre di due figli. Delle due donne sgozzate si sa meno, se non che fossero una sessantenne e una quarantaquattrenne. Entrambe erano lì per pregare quel Dio per il quale sono morte ammazzate. Tali avvenimenti, che hanno sconvolto una nazione e che avrebbe dovuto generare anche da noi più di qualche sussulto, viste le chiare responsabilità del nostro ministero dell’Interno nell’aver consentito il libero transito al terrorista della seconda strage, sono precocemente finite in archivio. Ciò accade quando prevale la smania di soffocare la memoria, di tradire i valori fondanti, di essere politicamente corretti con i nemici della nostra civiltà, di fingere che la tradizione occidentale non sia presa di mira dal jihadismo islamico.
È ancora l’Europa, giudaico-cristiana, e greco-romana, il faro che irradia l’umanità? Nell’Età del ferro del relativismo culturale quel faro è diventato una fiammella sbiadita, che non illumina e non riscalda. L’odierna generazione di progressisti, di multiculturalisti, di terzomondisti, si vergogna talmente della propria identità originaria che non trova la forza e le parole per reagire a chi le fa del male. I morti di Francia sono stati sacrificati due volte. La prima dalla mano assassina del terrorismo jihadista, la seconda dall’ignavia dei vertici della cristianità che, pur di non urtare la suscettibilità degli islamici, si sono ben guardati dal celebrare degnamente il martirio delle vittime innocenti. Da non cattolici non dovrebbe essere affar nostro il comportamento del Papa: può dire e fare ciò che crede. Tuttavia, quell’assordante silenzio udito la scorsa domenica all’Angelus sulle vittime di Nizza e di Parigi, è stato più di una nota stonata. È suonato come la dichiarazione di resa incondizionata all’islamismo violento e aggressivo, che non accetta l’idea di una coesistenza pacifica con gli “infedeli”. Nella giornata che celebra la ricorrenza di Ognissanti, il Pontefice ha ricordato il significato delle beatitudini, in particolare ha parlato della Terza beatitudine che esalta la mitezza nell’essere umano. Beato è chi sa dominare se stesso, che sa ascoltare l’altro e che rispetta il prossimo nel suo modo di vivere, nei suoi bisogni e nelle sue richieste. Virtù difficili da praticare oggigiorno perché, secondo il Papa, “c’è tanta aggressività e anche nella vita di ogni giorno, la prima cosa che esce da noi è l’aggressione, la difesa”. Quindi, Santità, il problema saremmo noi? E a chi avrebbero fatto del male le povere donne di Nizza? E il sagrestano, che per dieci anni della sua vita non ha fatto altro che accogliere i fedeli in Chiesa? E anche il professore parigino, reo di aver creduto nel diritto di tutti a esprimersi liberalmente? Per nessuno di loro c’è stata un’espressione misericordiosa, un cenno di solidarietà alle famiglie. E di rispetto per il sacrificio compiuto, anche se involontario. È tutta qui la parola del pastore? Benché non si faccia parte del suo gregge, da libere pecore in libero pascolo manifestiamo ugualmente disappunto per ciò che sta accadendo all’interno di uno dei luoghi fondanti la comune civiltà occidentale.
Ma non è che dalla parte italiana del Tevere le cose siano migliori. Ci saremmo aspettati che il presidente della Repubblica pronunciasse parole forti di condanna contro il terrorismo di matrice islamica. Avremmo accolto con immensa soddisfazione un’accusa rivolta agli esecutori e ai mandanti degli attentati terroristici che vivono al riparo delle loro sontuose dimore nelle Capitali del vicino e del Medio Oriente. Invece, nulla di tutto ciò. Il presidente Sergio Mattarella ha scelto di restare sul generico parlando di condanna “contro il fanatismo di qualsivoglia matrice”. Ma come? Fanatismo di qualsivoglia matrice? Gli assassini non erano degli psicopatici solitari che hanno agito in preda alla follia. Come questa notte a Vienna, anche in Francia nei giorni scorsi è stato portato a termine un piano, studiato nei particolari dagli esecutori e avallato dai mandanti-finanziatori. Gli assassini hanno un nome, un cognome e una fede alla quale ispirano le loro azioni: si chiama Islam. Perché non si ha il coraggio di pronunciare la parola? Non è Yahweh, l’impronunciabile nome del Dio degli ebrei. Che siano assassini e nostri nemici lo si potrà pur dire? L’establishment italiano, condizionato negativamente dal relativismo culturale, predilige nascondere la testa sotto la sabbia del politicamente corretto che è poi la fedele rappresentazione di un modus agendi diffuso. “Non sapere, non guardare, non capire”, come ha scritto Max Del Papa sul quotidiano on-line “Atlantico”. E bene ha fatto Anna Bono, sempre dalle colonne virtuali di “Atlantico”, a ricordarci che nel Corano i territori abitati dagli infedeli sono chiamati “Dar al- harb”, che significa “Casa della guerra”. Ce ne si faccia una ragione: fin quando l’Europa rimarrà ancorata alla propria millenaria tradizione di civiltà, vi sarà un segmento consistente dell’islamismo impegnato a combatterla fino a distruggerla e asservirne le sue genti alla volontà e al potere dell’unico Dio, compassionevole e misericordioso. Agli europei spetta di decidere del proprio destino di libertà o di schiavitù, impugnando le armi o deponendole in segno di resa. Tertium non datur.
Aggiornato il 04 novembre 2020 alle ore 09:42