
Tutti abbiamo capito che gli ultimi sei mesi sono stati buttati al vento. Chi aveva il dovere di prevedere, organizzare, prevenire, si è lasciato cullare dall’illusione che, alla fine, le cose si sarebbero sistemate da sole, magari attribuendosi il dono della preveggenza.
Invece, eccoci qui, ad osservare la perfida sinusoide che descrive l’aumento dei contagi e ad attendere misure draconiane che potranno, nella migliore delle ipotesi, rallentarlo.
È tutta questione di matematica, purtroppo. Dati tre parametri – spazio, tempo e velocità – avremo alcune delle risposte che cerchiamo e un quadro previsionale attendibile di ciò che ci aspetta.
Però, c’è una cosa che non dovremmo sottovalutare: il tempo non è soltanto un’unita di misura da utilizzare nelle operazioni matematiche, ma rappresenta uno dei luoghi in cui si svolge la nostra vita, in cui scorrono i nostri pensieri e le nostre emozioni.
Per ciascuno di noi, il tempo è l’unico tempo possibile, quello che ci è stato dato. Il tempo passato non ritorna, è perduto per sempre.
La colpa più grave, dunque, non è la disorganizzazione, l’approssimazione programmatica o la miopia nelle previsioni, ma la dissipazione dell’unica cosa che non è recuperabile. Quella che si può solo rimpiangere, inutilmente.
Aggiornato il 02 novembre 2020 alle ore 10:43