
È sicuramente un caso che il brutale attacco di Nizza sia avvenuto nei giorni in cui la diffusione del virus sembra inarrestabile. La concomitanza tra due fatti, invero, non dimostra in alcun modo l’esistenza di una relazione tra gli stessi, né di un rapporto di causalità, del quale, francamente, non si vede il benché minimo indizio. E, tuttavia, la contestualità, pur casuale, mette sotto i nostri occhi gli elementi che accomunano i due fatti, primo fra tutti la paura. Virus e terrorismo ripetono la loro sostanza da un’unica matrice, la quale, pur orientata a scopi diversi, produce il medesimo effetto: incide sulla fiducia e sul senso di sicurezza al quale, da troppo tempo, siamo assuefatti, colpendolo nei punti più sensibili.
Quando, l’altro giorno, dicevo che le manifestazioni violente sono un segnale inquietante intendevo proprio questo: non già delineare apocalittici scenari (fortunatamente e allo stato) improbabili, ma richiamare l’attenzione sui rischi che derivano dalle sinistre convergenze riscontrate. Un antico proverbio siciliano recita, più o meno, così: quando il leone muore, pure u sceccu (l’asino) tira calci. Il nemico che, fino a ieri, sembrava inoffensivo, prende coraggio e ha buon gioco a menare pedate, incrementando il senso di insicurezza indotto dal numero crescente dei contagi.
Sembra, ma non è (ancora), la tempesta perfetta, quella in cui, per pura fatalità, le circostanze si rivelano propizie a scatenare l’inferno, segnando il primo punto: mettendo, appunto, paura. Come ho detto in premessa, è di certo un caso che tutto questo accada oggi. La paura, però, è un fatto. E la paura rende irrazionali i più, inducendo l’apparentemente pavido ed innocuo asinello a sferrare calci al leone ferito.
Aggiornato il 31 ottobre 2020 alle ore 17:43