
Gian Battista Vico interpreta il cammino dell’umanità come una serie di corsi e ricorsi storici: da ogni epoca oscura si passa ad una eroica e quindi ad una luminosa, governata dalla ragione, alla quale seguirà una nuova decadenza e la successiva rinascita, in un ciclo eterno di caduta e ripartenza.
Nel mentre mi preparo alla mia quotidiana sgambata, sapendo che sarà una delle ultime (la ricerca del capro espiatorio fa, inevitabilmente, giri immensi e ritorna prima o poi, come certi amori, al punto di partenza: i runner hanno i giorni contati) penso che ci attende un futuro radioso. Perché faccio fatica a pensare ad un’epoca più oscura di quella in cui mentre ci chiudono in casa per la sola ragione che non hanno la più pallida idea di come farci uscire in modo decente trovano pure la claque ad applaudirli. Perché faccio fatica a pensare ad un’epoca più oscura di quella in cui per mesi la predica si è sostituita all’azione e anziché alle terapie intensive si è pensato ai banchi a rotelle e a moltissimi va bene così. Perché faccio fatica a pensare ad un’epoca più oscura di quella in cui ci si racconta che bar e ristoranti son lazzaretti e invece su metropolitane, autobus, nelle fabbriche, negli uffici col virus ci puoi fare i gargarismi. Perché faccio fatica a pensare ad un’epoca più oscura di quella in cui sedicenti sinceri democratici si rammaricano perché la polizia non spacca la testa ai manifestanti.
Insomma, se Gian Battista Vico aveva ragione il 2021 farà impallidire “l’anno che verrà” di Lucio Dalla. Io, però, calzate le mie scarpette fluorescenti mi permetto di dubitarne.
Aggiornato il 31 ottobre 2020 alle ore 18:30