Siamo tornati al punto di partenza; anzi, se possibile, abbiamo fatto un passo indietro. Agli sguaiati cantori balconari che, alle 18, intonavano l’inno nazionale, si sono sostituiti i facinorosi di strada in cerca di vendetta. Vendetta, sì. Vendetta, non giustizia. A scagliare pietre e impugnare bastoni, infatti, non sono i ristoratori irritati per la serrata e neppure i loro dipendenti: sono i disperati che non attendevano altro, che desideravano scendere in piazza e manifestare. Purchessia.
Naturalmente, la classe dirigente del Paese ci ha messo del suo. I decreti del presidente del Consiglio dei ministri sono, in larga parte, non intellegibili e condividono, con quelli dei governatori regionali, una sfilza di visto, considerato e letto di cui non è traccia a memoria d’uomo. Sei mesi buttati, rappresentati iconograficamente dal volto abbronzato del responsabile della Farnesina, fulgido esempio di incompetenza. Nel frattempo, sottotraccia, i detentori del sacro potere – i burocrati – stanno imponendo a chi governa l’adozione ad interim del lavoro a domicilio. I servizi pubblici, di fatto, rischiano la cancellazione.
Curioso: chi vorrebbe lavorare rischia di fallire, mentre chi è pagato col denaro pubblico non perderà un centesimo. La giustizia è negletta, giustamente collocata nella posizione che si merita, in un Paese nel quale la stessa parola diritto è, ormai, vista con sospetto. Eccoci qui, dunque. Pronti a non si sa che cosa per salvare il Natale e consentire al Salvatore di nascere tra un bue ed un asino. Gli unici che non finiranno mai in isolamento fiduciario.
Aggiornato il 28 ottobre 2020 alle ore 09:41