Tra i due litiganti, il “reprobo” Luca Palamara e la magistratura associata, ansiosa di rifarsi una verginità a buon mercato, c’è un terzo che – lungi dal goderne – resta schiacciato in questo scontro tra prepotenze contrapposte: questo “terzo che non gode” è l’attuale procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze, Marcello Viola. Che, almeno per ora, deve rinunciare alle proprie legittime aspirazioni alla poltrona di procuratore capo della Capitale. Che pure gli era stata assegnata in una votazione del plenum di Palazzo dei Marescialli a larga maggioranza poco prima dello scoppio dello scandalo. Tutto ciò per la “grave colpa” di essere stato definito in una delle ormai leggendarie conversazioni captate dal telefonino di Palamara come “l’unico non ricattabile”.
Per questa paradossale vicenda Viola se l’è presa – come si direbbe a Roma, sede cui ambiva trasferirsi – in quel posto. A proferirla fu il pm Luigi Spina che era consigliere del Csm in una delle tante ciniche chiacchierate in cui si intratteneva Palamara quando si trattava di decidere le nomine.
Altra frase incriminata, anche se probabilmente non trascritta bene, è quella attribuita all’ex ministro dello Sport del Governo di Matteo Renzi, Luca Lotti, che nella famosa serata all’hotel “Champagne” avrebbe a un certo punto esclamato: “Ragazzi, si vira su Viola”.
Anche se poi nella errata trascrizione finita in mano ai giornali la frase appariva più ambigua: “Si arriverà su Viola, sì, ragazzi”.
Sia come sia, il senso di quel discorso a metà tra il millantatorio e la vanteria di prepotenza degli astanti era inequivocabile: alla fine dovranno eleggere Viola perché è il migliore e il più alieno dalle squallide manovre correntizie. Il senso di quel “non ricattabile” appare infatti evidente.
Invece che succede nel Paese di Collodi, Pinocchio e Mangiafuoco dove chi denuncia un sopruso finisce in prigione scortato dai carabinieri del Re?
Finisce che quelle frasi vengono prese a pretesto dalla nuova maggioranza formatasi nel Csm dopo il pilotato scoppio della bomba atomica Palamara e il trionfo a tavolino tra gli altri degli uomini di Piercamillo Davigo. Sconfitti nelle votazioni per l’elezione dei rappresentanti togati nell’organo di autogoverno della magistratura ma “ripescati” per cause sopravvenute di forza maggiore.
Tutti ovviamente duri e puri fino a “trojan” contrario. Così una nomina già decisa a larga maggioranza è saltata e il povero Viola si trova oggi a pagare per le colpe di chi tramava anche alle sue spalle e straparlava di lui magari senza neanche conoscerlo.
Chi lo risarcirà adesso? Certo lui i suoi bravi ricorsi e i relativi passi perché il Csm torni indietro sulla propria decisione li ha fatti. Ma ora che la storia è finita in caciara – e con il Covid che congela la già di per sé immobile giustizia – bene che vada se ne riparlerà alle calende greche. Amen.
Aggiornato il 14 ottobre 2020 alle ore 09:36