Breviario di antropologia comunista

L’uomo comunista è unidimensionale. La politica assorbe e plasma tutte gli aspetti della sua vita interiore ed esteriore, perché la sua mission è quella di “modificare” la società, non già quella meno pretenziosa di regolarne la dinamica spontanea, in modo che il diritto degli uni sia compatibile col diritto degli altri. Nell’ottica del comunismo, la dimensione del diritto e quella della politica si intrecciano fino a confondersi. Per tale ragione, il comunista è necessariamente giustizialista.

Il comunista si è dato un compito: accompagnare i suoi simili “dalla culla alla tomba”. Si tratta ovviamente di “accompagnamento” coattivo, perché non si attende la richiesta e non si presuppone il consenso del soggetto beneficiario. Il beneficio è talmente ovvio ed evidente, che il consenso è scontato; e perciò è lecito presumerlo; sicché il destinatario di cotale beneficio non può opporsi in alcun modo.

È vero che il compito dell’accompagnamento, in mancanza di base consensuale, è proprio dello Stato e non del singolo comunista, ma è vero altresì che l’entusiasta simpatizzante ne è idealmente ed emozionalmente partecipe. Egli abbraccia la fede e la Weltanschauung comunista, al punto che vuole dare un suo contributo personale alla realizzazione del programma di partito e - ça va sans dire - all’opera pedagogico-correttiva dello Stato-accompagnatore. D’altronde, è fin troppo chiaro che, in mancanza dell’uomo comunista, lo Stato comunista non potrebbe insediarsi.

In questa logica, il diritto diventa parte integrante della politica e la competizione politica entra nelle aule dei tribunali. Proviamo a capirne le ragioni profonde. In base all’insegnamento del grande filosofo del diritto Bruno Leoni, la libertà dell’uomo deve molto alla distinzione tra il diritto e la politica: mentre nella dimensione giuridica vigono rapporti paritari, fondati sul libero consenso delle parti, la dimensione politica è caratterizzata da rapporti di supremazia (o potestativi o egemonici).

All’arretramento del diritto corrisponde necessariamente l’ampliamento del dominio politico; il che significa che i rapporti potestativi, ossia autoritari, prendono il posto dei rapporti consensuali. Orbene, è proprio questo ciò che accade negli Stati che pretendono di accompagnare gli uomini dalla culla alla tomba: la dimensione politica fagocita quella giuridica, proprio per il fatto che il consenso del beneficiario non è richiesto di fronte al “beneficio” apportato dallo Stato.

Se si può supporre che l’uomo giunto alla tomba non abbia bisogno delle attenzioni dello Stato educatore e dunque le esequie di Stato siano ideologicamente e politicamente neutre, la stessa supposizione non si può fare a riguardo dell’infante che riposa nella culla. Il bambino ha bisogno delle amorevoli cure di Stato e massimamente della sua sapiente educazione, pertanto lo Stato comunista non può che essere uno Stato educatore, giacché assiste l’uomo fin dal suo nascere. E avendoci preso gusto, continuerà a educare il bambino divenuto ragazzo e il ragazzo divenuto adulto e l’adulto divenuto anziano; usque ad vitae supremum exitum.

Sicché, in ultima analisi, il programma politico di assistenza “dalla culla alla tomba” suppone necessariamente che lo Stato detenga un universo di valori rappresentativi del bene comune. Per tale via, si depotenzia il ruolo educativo delle famiglie e delle Chiese, mentre lo Stato si connota di eticità. E mentre l’etica si confonde con la politica, si confonde altresì la politica col diritto.

L’educazione di Stato non può che essere uniforme, per la necessità logica che la norma giuridica regolatrice (dell’educazione) abbia vigore erga omnes, e coattiva, per la necessità logica che la norma giuridica sia effettiva e perciò assistita da sanzione, in caso di trasgressione.

Ne deriva che la cognizione dei tribunali si estende ai valori di Stato, in relazione ai quali i cittadini devono essere educati, e dunque la politica entra trionfalmente nelle aule dei tribunali per tre vie, l’un l’altra connessa: a) i valori politici (di Stato) non sono più opinabili, ma divengono giuridicamente vincolanti; b) la norma giuridica diventa elastica; c) l’avversario politico del comunista commette reato.

Il motivo sub a) è implicito in ciò che si è già detto. Nello Stato comunista tende a instaurarsi il “pensiero unico”, proprio perché l’educazione è correttiva e coattiva. I contenuti del programma educativo di Stato sono vincolanti, sicché l’intimo dissenso esprime devianza e la manifestazione pubblica del pensiero deviante diventa reato.

Il motivo sub b) è dato dal fatto che il “pensiero unico” vincolante si traduce inevitabilmente in precetti “morali” o “moralistici” ad ampio spettro. La linea divisoria tra il Bene e il Male (sociale) non è così precisa come quella che separa il rispetto e la violazione del diritto altrui nei rapporti privatistici; può essere tratteggiata solo per grandi linee, essendo poi rimesso all’interprete del caso concreto individuarla.

Ne deriva l’estrema opinabilità del fatto illecito e la grande discrezionalità del giudicante, in misura direttamente proporzionale al tasso di comunismo che caratterizza l’ordinamento. Il motivo sub c) risiede nel fatto che l’avversario politico del comunista è nemico del bene comune e pertanto la sua attività è di per sé antisociale. S’intende che, a protezione della società e dunque per il bene di tutti, l’antisocialità va combattuta e repressa.

In ragione di ciò, il comunista, il quale per definizione nutre simpatia per il comunismo, ossia per un ordine dei rapporti sociali, fondato sulla figura dello Stato che assiste ed educa la persona individuale “dalla culla alla tomba”, non può non essere giustizialista, instancabilmente dedito a invocare “giustizia”, ogni volta che ritenga in gioco un possibile vulnus alla sua Weltanschauug divenuta nel frattempo “pensiero unico”.

E si può senz’altro formulare una legge universale: quanto più avanza il comunismo, tanto più la politica invade il campo del diritto e fa ingresso nelle aule dei tribunali. Da questo punto di vista, il primato nel mondo occidentale appartiene all’Italia, in cui si celebra ogni giorno un doppio processo “politicamente sensibile”, in tribunale e nella pubblica piazza.

(3/Continua)

Aggiornato il 06 ottobre 2020 alle ore 09:58