
In una delle pagine più sapide del suo celebre “Viaggio in Italia”, Goethe narra di aver assistito alla celebrazione di un processo presso il Palazzo Ducale di Venezia. E ne parla come di uno spettacolo vero e proprio, organizzato di conseguenza con tanto di pubblico e di attori. E gli attori naturalmente erano i giudici e gli avvocati, ciascuno nel proprio ruolo, cioè nella loro parte.
Ma se Goethe vede in quel processo un vero spettacolo è in realtà per una diversa e specifica ragione: e precisamente perché egli avverte distintamente che “la causa è già decisa, allorquando si disputa in pubblico”.
Una strana sensazione del genere – e cioè che ciascuno dei protagonisti ben sappia che la causa sia già decisa – viene destata dal processo celebrato in questi giorni a Catania nei confronti di Matteo Salvini.
Spiego perché e in che senso.
Innanzitutto, anche uno studente di giurisprudenza di primo anno capisce subito che se Salvini è colpevole di sequestro dei migranti, allora io sono un astronauta. E siccome chi mi conosce non mi ha mai visto passeggiare fra le stelle, né pensa che io sappia farlo, Salvini non ha consumato nessun sequestro di persona. Per aversi infatti un vero sequestro, occorre che il sequestrato abbia completamente perduto la facoltà di muoversi, sia cioè stato privato in modo assoluto della libertà di movimento e di allontanamento.
Ora, quella nave di migranti era attraccata al porto di Catania; i migranti erano stati impediti da Salvini, ministro dell’Interno, allo sbarco; ma forse che qualcuno avrebbe impedito a quella nave di allontanarsi? Di dirigersi verso Malta? Di tornare indietro?
Nessuno. Anzi, se, per avventura, la nave fosse salpata in altra direzione, Salvini avrebbe acceso un cero a Sant’Agata, patrona di Catania, in segno di ringraziamento.
Proprio per questo, di sequestro non c’è neppure l’ombra. E lo sanno tutti. Lo sanno anche i giudici di Catania.
Infatti, la Procura della Repubblica per suo conto ha chiesto l’archiviazione perché ben sa che di sequestro non vi sono tracce; lo sanno gli avvocati difensori; lo sanno i giornalisti; lo sa Salvini; lo sanno i parlamentari che hanno votato a favore del processo; lo sanno, dicevo, perfino i giudici. Lo sanno tutti.
E tuttavia, la rappresentazione deve andare avanti e perciò va avanti, nel preciso senso messo in luce dalla magistrale pagina di Goethe.
Dico che lo sanno perfino i giudici perché stabilire – come il giudice catanese ha fatto – due prossime udienze destinate a sentire come testi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i precedenti e successivi ministri, allo scopo di paragonare il comportamento di Salvini con quello degli altri e con quello del capo del governo, è una cosa completamente inutile per capire se ci sia o non ci sia il sequestro.
Intendo dire che l’impressione che residua è che stabilire questo modo di procedere serva più che altro a fare qualcosa, ma qualcosa di inutile dal punto di vista strettamente processuale e perciò che si sappia bene che di sequestro non si può parlare in alcun caso.
Infatti, se il sequestro esiste, nei suoi elementi costitutivi, allora esso esiste indipendentemente da ciò che abbiano fatto o non abbiano fatto i predecessori e i successori di Salvini. Se invece non esiste, allora acquisire tutto ciò è parimenti inutile.
Insomma, pura superfluità che non serve però a nascondere ciò che tutti sanno, ma fingono di non sapere e cioè che il sequestro non esiste. E dunque, a dispetto delle sorti della nostra povera Italia, che meriterebbe si usassero meglio il tempo a disposizione, oltre che le risorse umane ed economiche, che lo spettacolo continui. Anche senza l’augusta presenza di Goethe.
Aggiornato il 06 ottobre 2020 alle ore 10:06