Roma è sempre stata meta affollata di orde di quelle persone che oggi chiamano- con termine rigorosamente politically correct - “homeless” e che un tempo, mille, cinquecento o anche meno anni fa, costituivano una vera e propria Corte dei Miracoli che si aggirava intorno alla Basilica di San Pietro in Vaticano e altre chiese del centro della Cristianità. Vulnerati veri, o il più delle volte finti, cenciosi in cerca di un obolo dato dalla misericordia per lo più del pellegrino – che in tal modo si salvava l’anima romea -, o da parte delle dame, dei nobili e del clero che comunque, quest’ultimo saggiamente, allora aveva imposto che costoro non bivaccassero in prossimità del Sacro Soglio.
Oggi invece, illusi di far parte di una società più evoluta, democratica e civile di quella di cinque secoli or sono, dove ferree leggi impedivano l’esistenza di mercati all’aperto lungo Ponte Sant’Angelo ad esempio, la situazione è degenerata in un vero e proprio dormitorio a cielo aperto esteso in ogni zona dell’Urbe. Ma il nostro tempo non è più quello barbaro della teocrazia papale né quello dei signori della guerra, noi siamo una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Più o meno nascosti, intabarrati in microcapsule autonome di stracci e di cartone, fragranti di urina rancida e rappresa, decine, forse centinaia di poveracci, oggi nell’anno non più del Signore 2020, dormono, bivaccando e spesso importunando cittadini e passanti, tra bottiglie di birra e altro, lungo ogni strada della Città Eterna. Ogni anfratto diviene “casa”, ogni “buco è trincea” si diceva in tempo di guerra, ma oggi nella Roma così graziosamente amministrata da una giunta pentastellata sembrerebbe non esserci alcun assalto alla città. I Lanzichenecchi, nel lontano 1527, avrebbero avuto un maggior decoro.
Eppure lungo via Cola di Rienzo, sino a Piazza del Popolo e altre strade limitrofe, questo degrado è sotto gli occhi di chiunque, contrappuntato dalle decine di monopattini abbandonati in ordine sparso a segnare, come pietre miliari elettriche, la fine di una civiltà plurimillenaria che non ha rispetto non soltanto degli altri ma neanche di sé stessa, in un panorama desolato sul cui sfondo angora si ergono le meraviglie d’un passato d’arte e di bellezza. Un mondo contrassegnato dall’incuria e dal menefreghismo di una amministrazione che ha ricevuto il lascito delle sue ultime precedenti, ma che non ha certo saputo far meglio, anzi.
Quella città, unica e assoluta, che dovrebbe essere il Cuore del Mondo è stata ridotta dalle ultime tre amministrazioni capitoline al suo sfintere, in una lenta discesa verso un baratro che presto potrebbe portarla al livello fognario di Calcutta. Forse dopo questa curva al ribasso avrà raggiunto il proprio nadir, Roma, che di personali apocalissi ne ha viste molte, riprenderà ad ascendere e a riveder le stelle.
Io non ci sarò. Con buone probabilità sarò già andato ad occupare il mio trono infuocato giù negli Inferi, ma forse voi sì, ve lo auguro dal più profondo del mio animo, mentre però continuate a stare attenti a non inciampare né sull’asfalto distrutto, né sulle bottiglie di birra e neanche sui monopattini abbandonati, spiaggiati come creature aliene biomeccaniche provenienti da un pianeta remoto e ostile.
Aggiornato il 27 agosto 2020 alle ore 11:34