Luca Palamara e Cosimo Ferri hanno ricusato tutti i componenti del Consiglio superiore della magistratura. A tal segno lo immaginavo, da averlo previsto già da alcune settimane scrivendone su queste colonne e cercando di capire come se ne potesse uscire. Che la istanza di ricusazione sarebbe stata presentata, non potevano esserci dubbi, dal momento che è ben noto come tutti quelli che siedono su poltrone come quelle o su quelle dei posti direttivi di Tribunali e Corti d’Appello e perfino della Cassazione, ci siano arrivati attraverso il medesimo, accidentato percorso della lottizzazione correntizia: nessuno escluso. D’altra parte, le motivazioni della ricusazione sono fondatissime, dal momento che i componenti del Csm potrebbero essere – e di fatto sono stati – citati come testimoni, in quanto informati in modo diretto e personale dei fatti contestati sia a Ferri che a Palamara. Anche un bambino capisce che colui che giudica un altro essere umano – funzione delicatissima di suo – deve collocarsi al di sopra delle parti e perciò non può in alcun modo farsi cogliere nel ruolo di testimone, neppure in modo potenziale.
Il testimone svolge un ruolo incompatibile con quello di giudice: lo sanno tutti. Tranne probabilmente i componenti del Csm, alcuni dei quali infatti hanno subito respinto la ricusazione affermando di non vedere motivi né di astensione né di ricusazione. Così ha fatto Piercamillo Davigo, il quale evidentemente ha capito tutto, tutto quello che noi non comprendiamo e che invece vorremmo capire. In particolare, non comprendiamo come mai si possa pensare che non ci siano motivazioni per ricusare come giudice coloro che hanno fatto la medesima cosa addebitata agli incolpati, vale a dire Ferri e Palamara. In altre parole, se il giudice è divenuto tale in forza delle medesime lottizzazioni correntizie di cui sono accusati gli incolpati, è del tutto evidente che lo stesso giudice dovrebbe sedere sul banco degli accusati e non su quello di giudice. E allora? Chi mai potrà giudicare Ferri e Palamara? Penso ci sia soltanto una possibilità: confezionare un organismo giudicante nuovo di zecca composto soltanto da due classi di soggetti. La prima classe formata da coloro che abbiano appena vinto il concorso in magistratura, ma attivandoli tempestivamente, ben prima che costoro siano avvicinati dai magistrati in servizio che li possano irretire nella perversa logica correntizia. Certo, si tratterà di giovani con poca o nessuna esperienza, ma questo è il prezzo necessario da pagare per avere dei giudici tendenzialmente imparziali e non ancora infettati dalla perversione correntizia.
La seconda classe potrebbe invece essere formata da coloro che, dopo trent’anni di onorato servizio, si trovino ancora a svolgere le medesime funzioni di quando la loro attività ebbe inizio. Ciò, infatti, potrebbe essere assunto come indice probabile di una circostanza molto importante: e cioè che costoro, non coinvolti nella logica spartitoria delle correnti, sono rimasti soli e perciò abbandonati alle funzioni di partenza. Ma è stata di certo una solitudine benefica, capace di salvaguardarli dal contagio di quella logica, e che, se nell’immediato li ha puniti lasciandoli senza alcuna gratificazione personale, alla lunga, li consegna alla pubblica opinione quali gli unici giudici di cui fidarsi da un doppio punto di vista.
Per un verso, perché, non essendo inquinati dalla logica correntizia e perciò non essendo loro tributari, potrebbero giudicare i loro colleghi, accusati di averne fatto abituale uso, senza timore di perdere la propria imparzialità. Per altro verso, perché garantirebbero agli accusati – come è loro inalienabile diritto – la reale assenza di motivazioni che potrebbero portare alla loro ricusazione. Insomma, sarebbero una garanzia per tutti, accusati ed accusatori. Ma lo so bene: non accadrà. Sarebbe pretendere troppo da questo nostro malconcio sistema.
Aggiornato il 27 luglio 2020 alle ore 10:24