I “mantra” inconsapevoli

Molti vivono di “mantra”. Non possono farne a meno, probabilmente perché ripetere all’infinito il medesimo ritornello o la medesima esclamazione li aiuta ad acquisire fiducia in se stessi. Oggi questa pratica ha perduto ovviamente il suo valore originariamente religioso o puramente meditativo per divenire una specie di vessillo ideologico da agitare nel momento opportuno, allo scopo di dichiarare la propria appartenenza ad un gruppo sociale ben definito o, più spesso, per rammentare alla opinione pubblica la necessità di una qualche iniziativa. Questo vale per i “mantra” consapevoli, cioè per quelli che vengono ripetuti con piena coscienza del loro significato. Ci sono tuttavia pure quelli inconsapevoli, che cioè divengono tali al di là e nonostante qualunque volontà del loro diffusore e che rimangono comunque assai significativi del fenomeno sociale che li contrassegna: ed è il fenomeno della assoluta assenza del benché minimo pensiero critico. Nel nostro tempo, è facile individuarne almeno due, molto diffusi in Italia e assai pervasivi, cioè capaci di contagiare con il loro nulla di pensiero le molte teste vuote che si trovano in circolazione. Il primo è la nota litania, che appunto diviene un “mantra”, secondo la quale, per risolvere un determinato problema politico o sociale, sia necessario “uno stanziamento di denaro”. Ecco il “mantra” abituale e pervasivo. Occorre riformare la scuola? Ci vogliono i soldi. Occorre una riforma della Pubblica amministrazione? Ci vogliono i soldi. Bisogna riformare il Codice degli appalti? Ci vogliono i soldi.

Il secondo “mantra” recita invece che “occorre una legge”. Bisogna por mano alle opere pubbliche? Ci vuole una legge. Bisogna modificare l’assetto delle università? Ci vuole una legge. Bisogna affidare ad altre società la manutenzione delle autostrade? Ci vuole una legge. Questi due “mantra” sembrano dominare incontrastati il proscenio pubblico italiano dalle televisioni, dai giornali, dalle tribune politiche, declamati e ripetuti da sindacalisti, esponenti di partito, ministri, sottosegretari, giornalisti, opinionisti, da quasi tutti. Il tutto sempre all’insegna del loro compenetrarsi reciproco, della loro coesistenza necessaria, della loro pervasività multicolore, in quanto attecchiscono presso tutti i colori politici, nessuno escluso. Ora, è facile vedere come più si ripetono slogan contenenti “mantra”, meno si pensa, meno si elaborano idee e serie proposte di riforme. Declamarli equivale – lo si sappia o no – allo stesso comportamento di chi salisse su di un treno per il puro gusto di viaggiare in ferrovia, ma senza sapere per nulla a quale destinazione sia diretto: un perfetto imbecille. Infatti, appurato che siano necessari i soldi, bisognerebbe prima aver chiaro cosa si voglia fare con questi soldi. E quasi mai è chiaro, spesso confuso e oscuro. Appurato che ci vuole una legge, quasi mai si dice quale obiettivo si voglia raggiungere: basta sbandierare la necessità di una legge purchessia. Lo si vede per esempio circa il Consiglio superiore della magistratura, del quale tutti predicano una necessaria riforma, ma nessuno dice espressamente in quale direzione. Ci vuole una legge, insomma. Benissimo. Ma per far che? E qui cominciano i guai, perché nessuno lo sa davvero e fino in fondo.

Qualcuno abbozza una proposta – ma nulla di più – subito bocciata dagli altri. E lo stesso dicasi per tutti i settori della vita sociale e politica, in relazione ai quali si ripetono a squarciagola i “mantra” sopra indicati. Dirò di più. Nella maggior parte dei casi, poi, per raggiungere i veri obiettivi degni di attenzione, cioè davvero capaci di fornire una svolta alla situazione, non ci vogliono soldi e non ci vogliono leggi. Ci vogliono altre cose, senza prezzo e senza obblighi. Per esempio, per riformare la scuola e la magistratura, occorre prima di tutto ravvivare in modo serio e approfondito la coscienza degli insegnanti e dei giudici, ricordando, da un lato, che “insegnante” è colui che lascia “un segno” sull’allievo e che il giudice, dall’altro, non deve essere un semplice funzionario, ma un autentico giurista. Per rifondare la coscienza professionale di entrambi non ci vogliono né soldi né leggi: ci vuole una meditata operazione culturale e ideale, a costo zero e non dettata da norme vincolanti. Ci vuole che qualcuno pensi e progetti operativamente il suo pensiero, vale a dire il politico nel senso più nobile del termine, e che oggi purtroppo pare assente. Altrimenti, il destino degli inconsapevoli declamanti i “mantra” sarà simile a quello del viaggiatore che sale sì sul treno, ma senza sapere dove esso lo condurrà: un destino cieco ed errabondo. E purtroppo, su quel treno, ci siamo anche noi.

Aggiornato il 22 luglio 2020 alle ore 12:26