Perché la vendita di questo falso ed inutile ottimismo

Tra la fine del mese di maggio ed i primi giorni del mese di giugno, il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri prima ed il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dopo, tornando da Bruxelles annunciarono in conferenze stampa ufficiali che “grazie al lavoro capillare del nostro Governo il nostro Paese otterrà 172,7 miliardi di euro (preciso non circa 170 ma 172,7 miliardi) dal Recovery fund, e di tale importo 81,7 miliardi andranno versati come aiuti, cioè a fondo perduto, e 90,938 miliardi come prestiti (anche in questo caso è interessante il dettaglio numerico degli importi)”. Questa dichiarazione è stata ripetuta almeno una decina di volte in tante occasioni, in tante riunioni ufficiali e, addirittura, sia la Camera dei deputati che il Senato hanno ricevuto queste dettagliate informazioni.

Poi ad un tratto, in questi ultimi giorni, in queste ultime ore rimaniamo sconcertati per non dire altro e scopriamo che forse sarà possibile istituire un Fondo denominato Recovery fund il cui obiettivo sarà quello di ridimensionare il danno che i Paesi della Unione europea hanno subito dalla pandemia del Coronavirus; forse la soglia finanziaria che il fondo potrà raggiungere potrebbe essere di 700-750 miliardi di euro; forse l’Italia e la Spagna potranno ricevere le quote percentuali più elevate perché hanno subito maggiori danni dalla pandemia; forse il Fondo potrà prevedere una quota a fondo perduto; forse il Fondo, se i 27 Paesi della Unione europea lo condivideranno alla unanimità, sarà disponibile entro il secondo semestre del 2021; il Fondo in tutti i modi sarà reso disponibile solo dopo la presentazione, da parte di ogni singolo Paese fruitore, di un quadro programmatico di riforme ed un crono programma dettagliato della reale attivazione della spesa. Come detto, queste notizie non solo hanno creato sconcerto e preoccupazione ma tutti si sono chiesti perché ricorrere a simili modalità mediatiche, perché dare per scontata la speranza, perché definire addirittura strumenti legislativi (più decreti legge) inseguendo possibili coperture da fondi comunitari di cui oggi disponiamo solo di un “forse”.

Ora passeremo da questo bagno di ottimismo alla cruda realtà; una cruda realtà che è esplosa nell’incontro tra il presidente Conte ed il presidente dell’Olanda Mark Rutte; dopo l’incontro è finito l’incantesimo e tutti abbiamo letto che “manca ancora una piena convergenza”. Tutti, e forse anche lo stesso presidente Conte, ci siamo svegliati da un sogno ricco di belle fiabe ed abbiamo capito che il peggior danno che può fare la “cattiva” politica è proprio quello di anticipare sistematicamente soluzioni ipotetiche, programmi non concreti, atti non definitivamente condivisi. Questo comportamento non solo è scorretto ma ha generato un diffuso ottimismo proprio in quei comparti della economia che intravvedevano in tali risorse comunitarie la certezza, nel tempo, di coperture finanziarie relative a grandi interventi. Infatti ogni volta che il mondo delle costruzioni attraverso l’Ance o il sindacato chiedevano dove fossero le risorse del famoso bazooka, il presidente Conte, il ministro dell’Economia e delle Finanze Gualtieri e la ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli rispondevano “dobbiamo solo essere capaci di spenderli i 250 miliardi che stanno arrivando”.

In queste risposte, purtroppo, c’era indirettamente solo una conferma: le risorse previste nei vari decreti legge (un volano di circa 70 miliardi) erano solo poste posizionate nei prossimi venti anni e tutto era legato all’arrivo dei fondi comunitari. Questo difficile e complesso film deve essere approvato alla unanimità, l’accesso a questo articolato Fondo impone la redazione di misurabili action plan, cioè di programmi dettagliati nelle finalità e nella concreta attuazione e non manifesti “modello Vittorio Colao”. L’Unione europea, e soprattutto alcuni Paesi dell’Unione europea, pur non imponendo condizioni, vorranno conoscere perché annualmente “bruciamo” 12 miliardi di euro per finalità assistenzialistiche che finora non hanno prodotto nessun vantaggio per la crescita economica del Paese, mi riferisco agli “80 euro per i redditi bassi”, al “reddito di cittadinanza”, al “quota 100”. Questa che ho sinteticamente descritto penso sia una difficoltà che sarà necessario, dopo tanti comunicati stampa, dopo tante interviste, raccontare in modo trasparente al Parlamento; sì a quel consesso che in questi due anni ha solo approvato “fiducie”, che in questi due anni ha creduto passivamente a tutto anche a delle risorse comunitarie che erano legate solo ad un “forse”.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 20 luglio 2020 alle ore 13:21