La fierezza degli accattoni

Nel corso della grottesca trattativa sui fondi europei tra l’Italia e i cosiddetti Paesi frugali, a Giuseppe Conte & company non è parso vero di trovare nel premier olandese, Mark Rutte, un comodo capro espiatorio sul quale scaricare l’eventuale responsabilità di un esito a noi poco gradito della trattativa medesima. D’altronde, dopo essere riusciti ad annichilire con l’emergenza sanitaria un popolo in testa alle classifiche dell’analfabetismo funzionale, per i geni della lampada che occupano la stanza dei bottoni sarà un gioco da ragazzi convincere una grossa fetta di italiani che senza i veti del citato Rutte, che capeggia un gruppo di Stati che mal digeriscono la tradizionale linea italiana della cicala, saremmo finalmente riusciti a edificare il mitico regime di Michelasso, in cui tutti bevono, mangiano e vanno a spasso.

Eppure, mettendomi nei panni di chi è chiamato ad approvare un colossale finanziamento, di cui una buona parte a fondo perduto, mi stupisce che siano solo 4 o 5 i Paesi che ufficialmente ci sbarrano la strada. Di fronte ad un Governo italiano dominato dagli scappati di casa a cinque stelle, i quali annunciano dal balcone la fine della povertà, inneggiando alla devastazione dei conti pubblici, che s’inventano le forme più disfunzionali di sussidi e che laddove mettono le mani combinano disastri inenarrabili, mi aspetterei una ancor più dura e compatta presa di posizione da parte dei nostri partner europei. In aggiunta alla impressionante valanga di quattrini gettati nel pozzo senza fondo della spesa corrente che sta caratterizzando l’attuale legislatura, di cui soprattutto i grillini si fanno un gran vanto, tra i 43 Paesi più industrializzati del globo l’Italia in questo momento si trova all’ultimo posto sul piano della crescita.

Il che significa che il tanto decantato modello con cui abbiamo affrontato la pandemia non sembra aver portato i frutti sperati. Tant’è che unici in Europa vorremmo restare in stato d’emergenza fino al 31 dicembre, pur avendo chiaramente devastato in lungo e in largo la nostra già barcollante economia. Quindi, per sintetizzare la posizione espressa a nome della più improbabile maggioranza della storia repubblicana dal premier Conte, l’Italia si presenta a battere cassa con una certa supponenza, una sorta di fierezza degli accattoni, sulla base di una situazione disastrosa, tanto sul piano economico che su quello finanziario, senza una parvenza di un piano appena credibile di riforme da realizzare e priva completamente di quella minima credibilità che solo i fatti possono dare, soprattutto per un Paese indebitato fino al collo e che non è ancora fallito solo in virtù degli generosi acquisti dei titoli del Tesoro operati dalla Bce. Altro che Recovery fund, pertanto. Io, da semplice cittadino contribuente, a chi mi chiedesse un atto di fiducia presentando simili credenziali non affiderei neppure le chiavi del cesso di una bocciofila di quartiere.

Aggiornato il 21 luglio 2020 alle ore 10:19