
Il Governo ha trovato l’intesa per la graduale uscita della famiglia Benetton dalla gestione di Autostrade per l’Italia (Aspi), evitando la revoca della concessione. Allora tutti contenti per la quadra trovata? Non proprio. La reazione dei partiti all’accordo notturno non è stata univoca. I grillini si sono lasciati andare a un entusiasmo fuori misura per il successo colto, a sentir loro, grazie alla tenacia nel volere buttare fuori dalla partita la famiglia Benetton. Peccato che l’imperativo categorico dei pentastellati fosse stato, fino alla vigilia della giravolta, “Revoca, null’altro che revoca”. Soddisfatti ma senza enfasi i dirigenti del Partito democratico che puntavano essenzialmente a un profondo cambio di indirizzo dell’Azienda. Non volevano la revoca delle concessioni ad Aspi per il timore che la situazione degenerasse in un salto nel vuoto. Ancor più fredda la risposta di Italia viva. Matteo Renzi plaude allo scampato pericolo di una rottura traumatica con il gruppo Benetton. Inevitabile che, ad accordo raggiunto, il “Rottamatore” rivendicasse la ragionevolezza della sua linea, dettata al premier in tempi non sospetti.
Per Renzi l’unica soluzione praticabile avrebbe comportato l’ingresso di Cassa depositi e prestiti nel capitale di Aspi e la sua successiva trasformazione in una public company con una presenza della mano pubblica nella governance. E così è stato. Le opposizioni, invece, all’unisono denunciano la demagogia delle forze di governo nello spacciare per vittoria un sostanziale cedimento dello Stato agli interessi del maggiore azionista di Aspi: la società Atlantia il cui dominus è la famiglia Benetton. Carlo Calenda, in un commento affidato ai social, se la prende con Giuseppe Conte ridicolizzandone i commenti encomiastici. Scrive l’ex ministro dello Sviluppo Economico nei Governi Renzi e Gentiloni: “Guarda (Conte, ndr) che hai solo detto che vi ricomprerete un’azienda (direi accollandovi 8 mld di euro di bond e pagandone 3 ai Benetton)”. Un calcio negli stinchi ai demo-penta-renziani. Già, perché il punto nodale che suggerisce la sospensione del giudizio sull’operazione condotta dal Governo Conte si focalizza sul costo per la collettività dell’uscita soft dei Benetton.
Un conto sarebbe stata l’attivazione della revoca, pur gravata dall’alea di un eventuale risarcimento miliardario da corrispondere al concessionario revocato; tutt’altra storia è una transazione nella quale le parti concordano una risoluzione del rapporto molto onerosa per il pubblico. A un evento incerto e futuro ne subentra uno certo e immediato: l’ingresso di Cassa depositi e prestiti e di altri investitori istituzionali graditi al capocordata che comporta l’esborso di alcuni miliardi destinati in parte a dare liquidità al colosso delle autostrade per affrontarne i debiti e in parte nelle tasche del venditore. Ma quale sarà la quotazione delle singole azioni al momento dell’acquisto? Il Governo non lo sa. Lo scoprirà nel corso della trattativa che continua. Nel frattempo, c’è un convitato di pietra che non sta a guardare: il mercato. Il direttore Franco Bechis sul quotidiano Il Tempo ha minuziosamente ricostruito i movimenti in Borsa del titolo Atlantia nelle ore seguite alla conclusione del negoziato svolto all’interno del Consiglio dei ministri nella notte tra martedì e mercoledì e addolcito dall’arrivo di un vassoio colmo di cornetti caldi offerti dal ministro Vincenzo Spadafora agli assonnati colleghi.
Stando ai conti di Bechis, i Benetton si sono ritrovati in tasca 768,9 milioni di euro per effetto dello straordinario rimbalzo del valore delle azioni Atlantia (+26,65%), nella mattinata di mercoledì quando si è diffusa la notizia che non ci sarebbe stata la sbandierata revoca delle concessioni autostradali ad Aspi. L’impennata del titolo Atlantia ha trascinato verso l’alto le quotazioni di tutte le controllate della galassia Benetton. Il segnale che viene dal mercato indica che l’intesa raggiunta non sia stata un cattivo affare per i re della maglieria. Se è così di quali trionfi vanno blaterando i cinque stelle? C’è una regola nel mondo degli affari: se qualcuno guadagna, da qualche parte ci deve essere qualcuno che perde. Non vorremmo che la vittima sacrificale fosse la comunità nazionale costretta a ricomprare ciò che già avrebbe dovuto appartenerle ma che una scellerata politica di finte privatizzazioni ha regalato a un manipolo di affaristi. Ad essere intellettualmente onesti bisogna riconoscere che la concessione data ai Benetton sia stato un atto semplicemente scandaloso. Come altrimenti definire la cessione a fini speculativi di un monopolio naturale su un’infrastruttura strategica per l’interesse nazionale contro cui non è possibile alcuna forma di libera concorrenza? A riguardo, i grillini hanno avuto buon gioco nel promettere agli italiani che avrebbero posto rimedio all’ingiustizia commessa dalla cattiva politica.
Il crollo del ponte Morandi a Genova gli ha fornito il pretesto per un’operazione propagandistica in grande stile. Poi c’è stato il carico da novanta: il sospetto che tanta munificenza verso i Benetton celasse un intrigo illecito: la trasformazione di Aspi in una sorta di obolo di San Pietro per la politica, in sostituzione dell’abrogata legge sui fondi pubblici ai partiti. E di quest’obolo i Benetton sarebbero stati i grandi elemosinieri. Una brutta storia che se accertata getterebbe ulteriore discredito sulla classe politica e, in qualche misura, giustificherebbe gli impulsi antipartitici che s’intensificano nel comune sentire dell’opinione pubblica. Bene comunque che i Benetton escano dalla partita autostrade ma non se la separazione dovesse costare un occhio della testa allo Stato. Se ogni giudizio è prematuro ciò che la libera informazione può fare è di vigilare sulle tappe successive di un negoziato che durerà a lungo.
Tuttavia, un faro dovrà restare puntato su Consob. I giri sulle montagne russe che il titolo Atlantia ha fatto nel volgere di poche ore, sprofondando e rimbalzando in modo anomalo, non sono passati inosservati. Qualcuno adesso vuole sapere dall’organo di vigilanza sulle attività borsistiche se a spingere l’altalena dei ribassi e dei rialzi sia stata la manina della speculazione finanziaria, informata in anticipo sulle intenzioni del premier Conte di giungere a una conclusione favorevole ai Benetton dopo aver dato per certa la revoca delle concessioni. Sarebbe assai sgradevole scoprire che le talpe, già indesiderate ospiti negli orti delle residenze patrizie ai Castelli romani, si siano trasferite in massa a Palazzo Chigi.
Aggiornato il 17 luglio 2020 alle ore 20:04