
A parere del presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, l’incontro tra i magistrati italiani e quelli egiziani sul caso di Giulio Regeni si sarebbe trasformato in un “cazzotto” in faccia dell’Egitto all’Italia ed a tutti gli italiani a causa della mancata collaborazione degli inquirenti de Il Cairo e della loro richiesta, definita provocatoria ed inaccettabile dai familiari del ragazzo assassinato, di conoscere le ragioni della presenza e del lavoro di Giulio in Egitto. In realtà anche gli inquirenti italiani hanno manifestato in passato l’esigenza di avere qualche informazione in più rispetto alla versione ufficiale sull’attività di Giulio e sulle motivazioni di questa attività. Non a caso avevano chiesto chiarimenti alla professoressa dell’Università inglese che aveva inviato Giulio in Egitto con il compito di indagare sulle organizzazioni sindacali in contrasto con il regime di Abdel Fattah al-Sisi. Chiarimenti che non sono mai stati forniti e che alimentano le molte voci secondo cui il povero Giulio sarebbe stato usato dai servizi britannici e finito in una qualche trappola ordita dai servizi egiziani.
Che la famiglia Regeni possa reagire con indignazione di fronte alla posizione dei magistrati de Il Cairo è assolutamente comprensibile. Ma che il presidente della Camera italiana dia in escandescenze non è altrettanto comprensibile. Perché la vicenda non può essere considerata come un caso umano di assassinio ingiustificato ed ingiustificabile, ma una vera e propria questione di politica internazionale che impone comportamenti responsabili da chi riveste responsabilità istituzionali. Come reagire infatti al cosiddetto “cazzotto” egiziano? Rompere i rapporti diplomatici con il governo cairota e collocarsi di fatto con quei regimi mediorientali che considerato l’Egitto di al-Sisi un nemico che si oppone alla propria vocazione egemonica dell’intera aerea?
Fico, in sostanza, vuole che l’Italia si schieri al fianco dal sultano turco Recep Tayyip Erdoğan o del regime komeinista iraniano? Se è così lo dica apertamente e con motivazioni comprensibili ed accettabili. E non usi il caso Regeni per spingere il nostro Paese a compiere delle scelte di politica internazionale di dubbio valore e di sicura pericolosità. Gli alti ruoli istituzionali impongono responsabilità.
Aggiornato il 06 luglio 2020 alle ore 10:16