Il ludo pallonaro comincia a celebrare le prime finali. È la sera del 17 giugno e la Juventus si gioca la Coppa Italia con il Napoli. In ossequio al politicamente corretto, qualcuno deve aver pensato che fosse una figata pagare un corpulento cantante afroamericano, sbucato fuori da un talent, per intonare l’Inno di Mameli. Qualcuno dice che tecnicamente questo tale Sergio Sylvestre – di professione “Amico di Maria De Filippi” – abbia cantato l’Inno “a cappella”, cioè senza musica. A noi pare che abbia intonato l’Inno così male da dimostrare di aver usato l’intero membro e non solo l’estremità. Ma questa è un’altra storia.
La pietra dello scandalo sembrerebbe essere il fatto che costui abbia dimenticato una strofa, impappinandosi. A noi il fatto che abbia fatto confusione con le parole interessa poco anche perché non è il primo caso: già Katia Ricciarelli si incasinò cantando durante una finale di rugby qualche anno orsono. Può capitare e poi è notorio quanto la tensione giochi brutti scherzi.
La cosa che ci perplime veramente è invece il fatto che – dopo l’esecuzione – Sylvestre abbia alzato il pugno sinistro (cosa c’entra con Mameli?) urlando “No justice, No peace”, chiara allusione dedicata alla morte di George Floyd e a quanto sta accadendo negli Usa con il movimento #blacklivesmatter.
Con il dovuto rispetto per quanto sta succedendo negli Usa e per i tristi episodi di violenza, avremmo alcune osservazioni da fare.
In primo luogo abbiamo provato a cercare su Internet il video in cui Sergio Sylvestre urla a pugno chiuso “No justice, No peace”. Lo abbiamo fatto invano, a dimostrazione del fatto che sulla vicenda sia calata una imbarazzata ed imbarazzante censura che evidentemente cerca di limitare i danni di questa uscita scomoda. Ciò che non fa comodo alla narrazione buonista sparisce dai radar. Alla faccia del buonismo.
E perché mai questa uscita sarebbe scomoda? Perché la politica politicante e la politica sportiva hanno fatto flop credendo invece di fare del fighettismo integrazionista. Volevano cioè consegnare alla bella voce di un afroamericano un prezioso simbolo patriottico dimostrando retoricamente cosa sia l’integrazione. Peccato che Sylvestre non solo abbia sbagliato le parole (e ci può stare) ma abbia anche profanato l’Inno Nazionale con richiami divisivi, violenti e che nulla hanno a che fare con la nostra Patria. L’effetto è stato esattamente opposto: costui ha dimostrato di non saper maneggiare con cura i simboli altrui, senza rispetto, senza educazione sancendo in maniera plastica l’ennesimo fallimento del multiculturalismo. Chiamato a comprovare cosa sia l’integrazione dando una bella lezione ai sovranisti, Sylvestre ha calpestato le parole e ha dato sfogo alle rivendicazioni della sua gente (rivendicazioni giuste ma fuori luogo in quel frangente) sancendo quanto sia facile cianciare di multiculturalismo e di nuovi italiani. Poi alla fine l’acqua va al mare. Altro che “generazione Balotelli”.
Aggiornato il 18 giugno 2020 alle ore 13:07