La sconfitta della ipotesi accusatoria

Il mio amico Massimiliano Annetta ha scritto un pezzo nel quale, riferendosi alla sentenza fiorentina dell’altro ieri, lamenta l’inciviltà di un Paese che vive le decisioni assolutorie come una sconfitta per la Giustizia. È vero. Ha ragione, ma occorre dire qualche cosa di più.

Fermo il fatto – banale, lapalissiano – che una sentenza è, per definizione, espressione di Giustizia e realizza, ontologicamente, la Giustizia del caso deciso, dovremmo chiederci perché, allora, le pronunce liberatorie sono percepite come una sconfitta.

Perché lo sono.

Ma non sono la sconfitta della Giustizia, bensì della ipotesi accusatoria che, in questi ultimi 25 anni, abbiamo confuso con la Giustizia. Un errore imperdonabile, insomma, che induce a considerare giuste soltanto le sentenze che accolgono la prospettiva del Pubblico ministero, a torto ritenuto portatore di Giustizia e non, invece, parte.

Se a questo aggiungiamo che le vittime hanno sempre ragione, è inevitabile concludere che gli accusati hanno torto. Assolverli non è giustizia, dunque, ma la sua negazione.

L’ho fatta troppo lunga, al solito.

Sarebbe stato sufficiente dire: mettete sul banco degli imputati voi stessi, sapendo di essere innocenti e poi ditemi come si sta.

Come si sta in un mondo nel quale neppure i campioni del garantismo – quelli che si battono giustamente per i diritti dei più deboli e anche dei condannati – osano dire che la vera sconfitta della Giustizia sta nelle parole di un magistrato, il quale, nonostante non credesse all’ipotesi di accusa contro un indagato, disse: va comunque attaccato.

Ah... dimenticavo: il garantismo vale (giustamente) per Belzebù, ma svanisce se ti chiami Matteo Salvini.

Vergogna.

Aggiornato il 12 giugno 2020 alle ore 09:42