La confusione dei poteri ai tempi del coronavirus

A quanto pare il premier Giuseppe Conte, insieme ad altri ministri e membri del Comitato tecnico-scientifico, verrà sentito come teste dalla Procura di Bergamo nell’indagine aperta per epidemia colposa. In tal senso sono già stati ascoltati i vertici della Regione Lombardia, con Attilio Fontana in testa.

Naturalmente, così come è accaduto in passato per vicende italiane relativamente meno gravi, era impensabile che la magistratura non facesse il suo ingresso nella confusa faccenda del Covid-19. In tal senso, condivido appieno il giudizio lapidario espresso nel corso della sua consueta “Zuppa” mattutina da Nicola Porro. Per quanto non si possa essere d’accordo con le decisioni adottate per contrastare l’epidemia, tanto a livello centrale che a quello locale (sebbene sia in atto da tempo una gigantesca strumentalizzazione politica ai danni di chi, il centrodestra a trazione leghista, gestisce da tempo immemorabile la più prosperosa regione italiana); trattasi comunque di scelte politiche e, in quanto tali, spetterebbe al popolo degli elettori giudicarle nel segreto dell’urna. In tal senso, riprendendo il ragionamento di Porro, sarebbe molto utile al Paese se si uscisse dalla logica di utilizzare le inchieste giudiziarie come uno strumento di propaganda ai danni degli avversari. Da questo punto di vista, non possiamo continuare nella pantomima di un garantismo strabico, il quale scatta solo quando vengono toccate persone della propria fazione.

Tutto ciò poi, al di là dell’antico e mai risolto conflitto di poteri tra politica e magistratura, in una fase tanto delicata per l’Italia, a mio avviso non può che generare ulteriore confusione in un marasma che dura oramai dalla fine di febbraio.

Il rischio è che, attraverso una eventuale chiamata in giudizio di questo o quel ministro, di questo o quell’amministratore locale, si perda di vista l’aspetto fondamentale delle decisioni politiche, sebbene in gran parte adottate senza il controllo di garanzia del Parlamento, che hanno imposto al Paese il più lungo e rigido lockdown d’Europa. Un lockdown che oggi si scopre, facendo cadere dal pero molti giornalisti tanto entusiasti della linea giacobina del “chiudiamo tutto”, aver causato il crollo verticale della produzione industriale relativa ai mesi di marzo e di aprile. Un crollo in cui il settore dell’auto è stato protagonista in negativo, con zero vetture fabbricate.

E per quanto il mainstream mediatico continui a bombardarci con l’idea abbastanza truffaldina che sia stato solo il virus a causare un simile tracollo, è solo da un franco dibattito retrospettivo basato sui fatti, eventualmente alimentato da quella parte dell’informazione meno prona alla linea chiusurista a oltranza, che nascerà il giudizio politico da parte dei cittadini. Un giudizio che, per quanto possa discostarsi dalla medesima realtà dei fatti, in democrazia non dovrebbe mai essere sostituito da quello che si ottiene nei tribunali, in cui si valutano esclusivamente i reati e non le scelte politiche.

Aggiornato il 12 giugno 2020 alle ore 09:39